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Festeggiamenti per il centenario

CRONACA – Nel 1910,  il biologo americano Thomas Hunt Morgan iniziava gli esperimenti su generazioni di drosofile che avrebbero dimostrato la trasmissione di caratteri ereditari attraverso i geni situati sui cromosomi. Da allora la Drosophila melanogaster è stata l’eroina di innumerevoli scoperte. Quasi a celebrare la ricorrenza, il premio del CellDance Festival assegnato il 15 dicembre dall’American Society for Cell Biology è andato alla micrografia di una sua ovaia (qui sopra, scattata da Hogan Tang nel laboratorio di Denise Montell), simbolo e origine dei miliardi di figli che la moscerina ha sacrificato sull’altare della scienza (1). E su Nature esce la soluzione di un vecchio mistero.

Si sapeva che allo stadio di larva, la drosofila percepisce la luce – dalla quale deve scappare per sopravvivere – attraverso gli organi di Bolwig, degli occhi molto primitivi. Ma una volta che ha infilato la testa nel frutto troppo maturo che sarà la sua fonte di cibo fino al passaggio allo stadio adulto, non le servono più. Eppure continua a farsi strada nella polpa fino a diventare invisibile, come s’accorge di non essere più esposta?

Yiang Xiang e altri ricercatori dello Howard Hughes Medical Institute e la grande specialista della Drosophila melanogaster,  Nina Vogt dell’università di New York, hanno rimosso gli organi di Bolwig e se la luce era abbastanza potente, le larve si comportavano come se fossero stati integri. In corrispondenza di neuroni che arrivano fino alla cuticola, hanno trovato dei fotorecettori come ne esistono sul vermetto Caenorhabditis elegans e molte creature prive di occhi. Sembrano un complemento agli organi di Bolwig, perché reagiscono a un’altra intensità luminosa, e forse sono i loro predecessori nella storia dell’evoluzione. Se è così, molti altri organismi potrebbero averli conservati e ora si sa dove cercarli.

(1) La scrivente si scusa per l’enfasi, ma è anche presidente del Drosophila melanogaster’s genetics Fan Club ed è felice di constatare che nonostante la Consulta internazionale per la nomenclatura zoologica abbia deliberato l’uso dell’aggettivo funebris al posto di melanogaster, le associazioni e le riviste serie rifiutano di farlo.

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