IL PARCO DELLE BUFALE

10:23 – Si chiudono i rubinetti per l’Omeopatia inglese

Tra lo stop al suo utilizzo sugli animali, associazioni di medici che chiedono la revoca dei finanziamenti pubblici, campagne volontarie di sensibilizzazione e imbarazzanti scoop, nel Regno Unito si registra un’inversione di tendenza sull’Omeopatia. Vediamo i dettagli.

OMEOPATIA – Da un po’ di tempo l’Omeopatia non se la passa molto bene in Gran Bretagna. La stessa campagna 10:23 è partita da Merseyside a fine 2009 e quindi, grazie alla Rete, alla comunicazione fatta da esponenti eccellenti del movimento scettico come il biologo Richard Dawkins (Richard Dawkins foundation for reason and science), il medico e giornalista Ben Goldacre (The Guardian) e il matematico, giornalista e documentarista Simon Singh (BBC, The Guardian) si è aggiunto un contributo su base volontaria (a volte poco ortodosso ma molto efficace), con il comune obiettivo di sensibilizzare i cittadini sulla teoria e la prassi dell’Omeopatia, poco nota e spesso confusa con l’erboristeria. Ci si mette anche la BBC e i legislatori sono stati costretti a prendere in esame il problema.

Eppure negli anni passati il supporto di testimonial eccellenti a partire, nientemeno, dal principe Carlo, aveva contribuito al successo dell’Omeopatia in Gran Bretagna, ma ora nemmeno gli amati Corgi della regina Elisabetta potrebbero usufruirne. Infatti recentemente il Veterinary Medicines Directorate e il DEFRA (Department for Environment, Food and Rural Affairs) hanno colmato un vuoto regolamentativo stabilendo obblighi precisi per quanto riguarda le medicine alternative/complementari per uso animale (sia da affezione che da reddito): se le aziende produttrici non sapranno dimostrare la loro sicurezza ed efficacia, dovranno ricommercializzare il prodotto in modo tale che sia chiaro che non si tratta di medicinali e quindi non sono passati attraverso i test che ne dimostrano i principi e il funzionamento.

Per quando riguarda l’Omeopatia, negli esempi che riporta il comunicato si nominano i “nosodi“. Si tratta di “vaccini” omeopatici preparati tipicamente a partire da tessuto biologico malato o comunque da sostanze responsabili di una determinata patologia. Opportunamente sterilizzate e diluite a concentrazioni omeopatiche, il rimedio dovrebbe immunizzare contro le stesse patologie.

Dal sito http://www.metifane.com/articoli/articoli_2009_files/meti2009a01.htm

Rajan Sankaran, nel suo libro “L’anima dei Rimedi” (1997), sostiene che: […] I nosodi vengono preparati da un tessuto malato in piena crisi infettiva e, quindi, del tutto sopraffatto dall’infezione. Si preparano in questo modo affinché le caratteristiche di fondo del processo infettivo si manifestino nel nosode. Nel caso della scabbia, il tessuto presenterà le caratteristiche dell’infezione scabica, il cui sintomo principale è il prurito intenso. Si tratta di un combattimento costante caratterizzato da un fastidio estremo. Il nosode viene preparato da un tessuto infetto e, quindi, totalmente vinto dalla scabbia. […]

Conclusioni: l’Omeopatia in Inghilterra (come medicinale) è da considerarsi “non adatta a uso animale”.

È un punto interessante, poiché gli omeopati spesso citano l’efficacia dell’Omeopatia su cani e gatti come prova che non si tratta di placebo. In realtà, il placebo sugli animali esiste, eccome, e c’è un’ampia letteratura a riguardo che evidentemente qualcuno decide di ignorare.

Questo accadeva a dicembre 2010, ma già il 4 gennaio 2011 un servizio televisivo puntava di nuovo i riflettori sull’Omeopatia.

Antefatto: nel 2006 l’associazione Sense About Science rivelava che durante i consulti alcuni omeopati londinesi, scelti casualmente da Internet e filmati con una telecamera nascosta, non esitavano a proporre rimedi omeopatici in sostituzione alla vaccinazione o della normale profilassi per malattie infettive come la malaria a pazienti con l’intenzione di recarsi in aree a rischio. Questo avveniva non solo nelle visite private, ma anche nelle più prestigiose “farmacie” omeopatiche di Londra come Nelsons e Ainsworths. I filmati sono poi andati in onda nella trasmissione di approfondimento della BBC Newslight.

A quattro anni di distanza il procedimento legale avviatosi contro le farmacie sta per essere abbandonato (come in effetti succederà). Gli ufficiali giudiziari ritengono infatti che i responsabili nel frattempo abbiano preso misure adeguate perché i fatti non si ripetessero.

La nuova puntata di Newslight a gennaio fa il punto della situazione. Nel servizio un’altra omeopata è ripresa dalla telecamera mentre informa la paziente che sta per partire per l’Africa meridionale che i rimedi omeopatici contro la malaria sono paragonabili a quelli testati, forse solo leggermente inferiori.

Il servizio prosegue fino alla farmacia Ainsworth’s e l’inviato legge un “bugiardino” (mai nomignolo fu più appropriato) di un rimedio appena acquistato: sebbene si specifichi che l’efficacia delle vaccinazioni omeopatiche (tra cui quelle per febbre gialla, poliomelite, meningite, dengue e naturalmente malaria) non è mai stata provata scientificamente attraverso trial clinici, l’acquirente può ragionevolmente contare su (e cito) “prove aneddotiche” della loro efficacia. Poi si passa alla posologia.

Come si può vedere nel video, dopo la fine del servizio in studio si svolge un acceso dibattito (secondo gli standard inglesi…) tra Zofia Dymitr, portavoce della Society of Homeopaths, e il giornalista scientifico Simon Singh. Incalzata anche dalla conduttrice la portavoce riesce, se possibile, a peggiorare la situazione:  le linee guida per i professionisti iscritti nel registro dell’associazione (a differenza, fortunatamente, dell’Italia, non è necessario essere medici per fregiarsi del titolo di omeopata n.d.r.) non invitano i membri a dissuadere il paziente da un’adeguata profilassi ma, rispondendo alla conduttrice che le chiedeva per quale motivo, allora, ai pazienti non viene detto chiaramente di non utilizzare rimedi omeopatici per prevenire e trattare malattie  infettive, si appella alla “libertà di scelta“. Dal momento che in questo caso stiamo parlando di malattie infettive è difficile giustificare questa posizione, visto che (salvo vaccinazione obbligatoria) la libertà di non prendere valide precauzioni può tradursi nell’esportare la malattia nel paese di origine (per esempio la difterite, citata nel bugiardino, non ha bisogno di zanzare per essere trasmessa).

Non tutti gli omeopati sono però d’accordo con questa visione. Nel 2006 Peter Fisher, direttore del Royal London Homeopathic Hospital (ora Royal London Hospital for Integrated Medicine), diceva fermamente che:

[…] non c’è nessuna ragione per pensare che l’Omeopatia possa funzionare per prevenire la malaria, non lo troverete scritto in un nessun testo o rivista di omeopatia, quindi è chiaro che le persone contrarranno la malaria, e potrebbero anche morire se seguono questi consigli.

Ma, se guardiamo alla storia dell’Omeopatia, questa marmorea posizione è piuttosto singolare poiché, come chiunque può riscontrare anche su qualsiasi sito di promozione dell’Omeopatia, la malaria è alla base della formulazione della “Legge dei simili” da parte di Samuel Hahnemann e lui stesso ne parla diffusamente nella Bibbia dell’Omeopatia, ovvero l’Organon. Hahnemann (fine XVIII secolo) venne a sapere che il chinino curava i sintomi della malaria. Assumendo chinino in prima persona, accusò sintomi a questa paragonabili. Il ragionamento che ne è conseguito, in breve, è che il segreto della guarigione da una malattia è racchiuso in quelle sostanze che, in un individuo sano, produrrebbero gli stessi sintomi.

Pare che alcuni di questi sintomi possano essere curati anche dal plutonio, basta recarsi nel posto giusto. Sull’argomento a questo link potete scaricare in italiano un divertente articolo su The Guardian di Marc Abrahams, che ne ha gentilmente concesso la ripubblicazione su Oggiscienza.

Per completare il quadro sulla situazione inglese bisogna aggiungere il fatto che la British Medical Association dal 2010 chiede a gran voce che i fondi pubblici all’Omeopatia siano ritirati e che sui rimedi omeopatici venga apposta l’etichetta appropriata, cioè “placebo”.

In tempi di crisi, sembra che gli inglesi  siano stati i primi a capire quanto sia importante chiudere bene i rubinetti.

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Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, mi sono formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrivo abitualmente sull’Aula di Scienze Zanichelli, Wired.it, OggiScienza e collaboro con Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione. Ho scritto col pilota di rover marziani Paolo Bellutta il libro di divulgazione "Autisti marziani" (Zanichelli, 2014). Su twitter sono @Radioprozac