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Non seguirmi, per favore

Potrebbe essere l’uovo di Colombo per la privacy online o un tentativo troppo ingenuo per frenare l’invasività del business del traffico dei dati in rete.

NOTIZIE – Jonathan Mayer e Arvind Narayanan, due giovani ricercatori della Stanford University, hanno creato un software che permetterebbe agli utenti di esprimere la volontà di non avere la propria navigazione monitorata.

Il programmino si chiama Do Not Track, e l’idea alla base è di una semplicità disarmante: in pratica una volta installato il software, viene aggiunto un header che segnala esplicitamente che l’utente non vuole essere tracciato. L’header in pratica rappresenta la lista di informazioni e istruzioni che attraverso il protocollo HTTP il browser a un server.

In altre parole: vi è mai capitato che, per esempio, mentre state navigando alla ricerca di un volo last-minute o di informazioni sulla destinazione delle vostre vacanze vi compaiano via via sempre più pubblicità riguardanti proprio l’oggetto della vostra ricerca? Ebbene, si chiama behavioral adverstising, pubblicità comportamentale. È un trend nato grazie al miglioramento dei sistemi di tracciabilità della navigazione online. In questo modo gli inserzionisti possono far comparire i propri annunci in base ai desideri espressi dall’utente attraverso i dati inviati inconsapevolmente attraverso i browser. Il vantaggio, ovviamente, è di poter indirizzare al meglio la propria offerta commerciale, ma il problema è che non è assolutamente chiaro che fine facciano i dati di navigazione, e per quali finalità.

Molti utenti si sentono impotenti di fronte a un’invasività che non possono controllare. La Federal Trade Commission (l’agenzia indipendente del Governo statunitense preposta a normare il mercato) qualche mese fa ha chiaramente fatto capire che in ambito informatico c’è la necessità di avere più rispetto per la privacy, e ora sta appoggiando l’idea di due ragazzi. Neanche John Mitchell, Professore di Scienze Informatiche che alla Stanford sta coadiuvando il progetto, immaginava che la ricerca potesse ricevere un’attenzione così importante.

Tra gli entusiasti c’è anche William McGeveran, Professore di Legge alla University of Minnesota Law School ed esperto in legislazione informatica. “Credo che il meccanismo Do Not Track proposto dalla Stanford prometta bene”, commenta McGeveran. “Il comando <robots.txt>, che proibisce ai motori di ricerca e ad altri software bot di monitorare un sito web, è largamente rispettato nell’intera rete. Funziona come un segnale di divieto. Do Not Track potrebbe avere lo stesso successo. Potrebbe spingere a migliorare le leggi e i regolamenti, imponendo il rispetto del comando di non tracciabilità”. McGeveran ricorda anche che già un decennio fa si fece un tentativo congiunto per rendere effettivo il rispetto della privacy online, ma lo sforzo fallì a causa del mancato sostegno da chi raccoglie i dati e dai governi. Il nuovo sistema, però, secondo il professore sta andando nella direzione giusta.

Più cauta invece Lorrie Faith Cranor, Professoressa Scienze Informatiche alla Carnegie Mellon University ed esperta di privacy e sicurezza informatica: “Per rendere Do Not Track una soluzione efficace per la privacy, abbiamo bisogno di un sistema favorevole”, fa notare la Cranor. “Al momento i siti web non sono obbligati a prestare attenzione agli header. Bisognerebbe poi che l’header sia riconosciuto a livello internazionale e che gli utenti sappiano se stanno visitando un sito che rispetta il sistema o no. Infine, avremmo bisogno di una definizione comune del tipo di tracciabilità che Do Not Track dovrebbe fermare”.

Dello stesso avviso anche Michael J. Quinn, preside della Facoltà di Ingegneria della Seattle University ed esperto di etica informatica: “Mi intriga molto l’approccio dei creatori di Do Not Track, ma solo il tempo potrà dire se questa sarà veramente un’innovazione per quanto riguarda la protezione della privacy dei consumatori. Richiede infatti la cooperazione volontaria delle organizzazioni che lucrano sulla tracciabilità dei dati, e finora nessun servizio che si avvantaggia di ciò ha onorato l’header di Do Not Track”.

La tecnologia al momento può essere installata come add-on solo per Firefox, ma Mayer e Narayanan stanno lavorando per renderlo operativo anche con Google Chome. Per ora Safari e Internet Explorer, invece, non supportano il loro software.

Tuttavia anche la Microsoft pare andare in una direzione simile. Sembra infatti che Internet Explorer consentirà agli utenti di creare o sottoscrivere una lista di indirizzi web che potranno tracciare la navigazione o meno.

In ogni caso Do Not Track potrebbe avere conseguenze tangibili. Le aziende che decideranno di non rispettare gli headers rischiano di infrangere le norme imposte dalla Federal Trade Commission, oltre ad incorrere in spiacevoli cause internazionali in tema di violazione della privacy.

 

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