CRONACA

“Quel pozzo non s’ha da fare”

INTERVISTE – È lo scienziato contro. Con le sue denunce, Benedetto De Vivo, docente di Geochimica ambientale all’Università di Napoli Federico II, si è messo di traverso e ha fermato le trivelle a Bagnoli (Napoli). A Oggi Scienza spiega nel dettaglio cosa non lo convince e lo allarma del “Campi Flegrei Deep Drilling Project”.
Perché è contrario a perforare il vulcano?
Non sono contrario a un sondaggio nei Campi Flegrei. Sono contrario a che la perforazione sia fatta dentro Bagnoli, vale a dire nella città di Napoli e secondo le modalità e le finalità indicate dall’INGV. Dire che sondaggio del genere serva a stabilire come funzionano i vulcani, così saremo in grado di prevedere le eruzioni, oppure a scoprire l’energia geotermica significa mistificare la realtà.

Andiamo con ordine. Cos’ha Bagnoli che non va?

È il posto peggiore che si potesse scegliere. Primo: si trova a ridosso dei centri abitati, in una delle zone più popolose d’Europa, e qualunque imprevisto potrebbe avere conseguenze drammatiche. Secondo, è un’ex area industriale in corso di bonifica per la quale sono stati spesi ben 300 milioni di euro, per essere trasformata, secondo quanto prevede il Progetto Urbanistico Esecutivo del Comune di Napoli in un parco pubblico. Mi sembra demenziale andarci a impiantare un’attività industriale, anche se con finalità di ricerca. Ammesso che l’area sia stata bonificata secondo quanto prevede la Legge (D.M. 152/2006), il terreno messo in sicurezza e/o bonificato non può più essere rimestato: i fanghi di perforazione dovrebbero essere smaltiti in quanto fanghi “minerari” come rifiuti tossici in una discarica speciale. A Napoli abbiamo già abbastanza problemi con la spazzatura “ordinaria” per la quale non si riescono ad individuare discariche. Terzo motivo, Bagnoli si trova ai bordi della grande caldera. Se si vuole studiare il bradisisma vulcanico, bisognerebbe effettuare il sondaggio verso il centro della caldera, in prossimità della presunta massa magmatica giacente in profondità, e non alla periferia. Interessa la stratigrafia sul bordo caldera, come dicono i ricercatori dell’Ingv? Allora il pozzo dovrebbe essere scavato in verticale, non inclinato di 25 gradi come previsto.

L’Ingv assicura che non vi siano rischi per la popolazione.

Nessuno può dare garanzie del genere. In qualsiasi attività tecnologica c’è un rischio insito. Per quanto basso, il rischio zero non esiste. Il pericolo che si verifichi un incidente può essere basso, ma il rischio è enorme in considerazione dell’elevato numero di popolazione esposta. Nelle vicinanze della trivellazione abitano circa 300 mila persone, ma se si considera che siamo nella città di Napoli, la popolazione esposta è molto superiore. Devo precisare che il pericolo è la probabilità che si verifichei un evento, mentre il rischio è legato al numero di persone esposte. Se si fa la stessa operazione in area desertica, il rischio è zero. Le autorità civili sono assolutamente tenute al rispetto del principio di precauzione, riconosciuto dall’Onu, dal Trattato di Maastricht e recepito dalla legislazione italiana. Non c’è valutazione scientifica o economica che possa giustificare il rischio anche minimo al quale si espone la popolazione.

Che tipo d’incidente potrebbe verificarsi?

In passato perforazioni simili hanno provocato incidenti seri che, a posteriori, non era mai stato possibile prevedere. È successo in Nuova Zelanda, in un’isola a largo dell’Indonesia, in Islanda, in Svizzera, ma anche in Italia, nel 2007, a Fiumicino. Durante un sondaggio superficiale del terreno, sotto la direzione del Presidente della Commissione Grandi Rischi, Prof. Franco Barberi, è stata trovata una sacca di anidride carbonica nel sottosuolo, del tutto inattesa, che ha provocato un’esplosione, causando sette feriti. Il gas disperso nell’aria ha costretto a evacuare la zona circostante.

Che succederebbe se qualcosa andasse storto?

Intorno ai 3.000 metri di profondità si trovano fluidi cosiddetti ipercritici, a elevatissime condizioni di temperatura e pressione, che potrebbero generare piccole esplosioni idrotermali o sismicità di bassa magnitudo nelle aree circostanti.

È possibile sfruttare la caldera per ricavare energia geotermica?

Sgombriamo il campo dalle mistificazioni. L’energia geotermica nei Campi Flegrei c’è ed è nota: non si tratta di scoprire nulla in tal senso, solo di stabilire come “sfruttare” una risorsa. Insomma, la ruota è già stata scoperta… Negli anni Settanta, Agip e Enel hanno effettuato 11 sondaggi fino 3,5 km, finalizzati principalmente alla ricerca dell’energia geotermica. Risultato: il potenziale per realizzare un impianto c’è ed è notevole, ma lo sfruttamento non era fattibile. In profondità, al di sopra del magma, sono state trovate vere e proprie salamoie, fluidi ad elevatissima salinità e altamente corrosivi che rendevano anti-economica una centrale geotermica. Inoltre, un campo classico occuperebbe decine e decine di ettari di terreno disabitato, e nei Campi Flegrei non c’è questa disponibilità data la densità abitativa. Sarebbe possibile, invece, costruire piccoli impianti geotermici grazie alle moderne pompe di calore che sfruttano fluidi, a circuito interno, basso. Già a 500 metri si trovano fluidi oltre i 100° C. Certamente, però, una centrale del genere non può sorgere dentro una città. E torniamo al problema principale: perché Bagnoli?

Ma esiste un sito alternativo?

Sì. Se ne possono individuare diversi, che non siano Bagnoli. Un sito, per esempio, si trova quasi in corrispondenza del centro della caldera, tra Pozzuoli e Quarto, sulla Via Campana. Lì c’è un’area demaniale libera. Se i lavori si spostassero lì, in nome di una maggiore conoscenza scientifica, non mi sarei certo opposto come sto facendo per la scelta folle del sito di Bagnoli.

Leggi anche l’intervista a Giuseppe De Natale, coordinatore del progetto “Campi Flegrei Deep Drilling Project”

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