LA VOCE DEL MASTER

Sentire con la luce

La radiazione infrarossa ha un effetto sul comportamento delle cellule: la scoperta potrebbe portare ad applicazioni in campo biomedico.

4336778225_83692a752fLA VOCE DEL MASTER – Vedere grazie alla luce? Certo, è naturale. Forse però esiste il modo di utilizzare la radiazione luminosa, a una determinata lunghezza d’onda, anche per risolvere delicati problemi dell’udito, dell’equilibrio e perfino del cuore. È quanto emerge da una coppia di articoli pubblicati pochi giorni fa sul Journal of Physiology dall’équipe di Richard Rabbitt, dell’Università americana dello Utah, in collaborazione con i National Institutes of Health. I ricercatori hanno osservato che la luce infrarossa è capace di stimolare alcuni tipi di cellule animali: questa scoperta potrebbe avere importanti applicazioni tecnologiche in diversi campi biomedici .

Rabbitt e colleghi hanno verificato che la luce infrarossa è capace di far contrarre le cellule cardiache (cardiomiociti) del topo e di stimolare le cellule dell’orecchio interno della rana pescatrice a inviare impulsi nervosi al cervello. Per le indagini sono state utilizzate cellule provenienti da due specie differenti, e in particolare da tessuti che presentano somiglianze con i tessuti umani, in modo da ottenere risultati che potrebbero essere significativi anche per noi.

Alla base dei risultati ottenuti c’è il fatto che sia la contrazione delle cellule cardiache sia l’invio di segnali nervosi al cervello da parte delle cellule dell’orecchio interno stimolate da vibrazioni meccaniche del suono, della gravità o dei movimenti, sono eventi regolati dagli stessi meccanismi biochimici. Meccanismi che coinvolgono il flusso degli ioni calcio nei mitocondri, gli organuli cellulare che, convertendo zuccheri in energia, possono essere considerati le centrali energetiche cellulari. Ebbene: i ricercatori hanno scoperto che la radiazione infrarossa è in grado proprio di modulare questo flusso di ioni, influenzando così contrattilità e trasmissione di segnali.

Fin da subito, gli autori dello studio hanno evidenziato possibili ricadute tecnologiche in ambito medico delle osservazioni compiute. Se la scoperta probabilmente non verrà utilizzata in cardiologia, dove il peacemaker funziona già bene, potrebbe però risultare veramente innovativa per il controllo del movimento, per esempio in pazienti con il morbo di Parkinson, dato che l’orecchio interno è responsabile dell’equilibrio. Potrebbe inoltre risultare importante per gli sviluppi futuri degli impianti cocleari, una specie di orecchio artificiale elettronico capace di ripristinare, almeno in parte, la percezione uditiva nei sordi. Questi impianti sono piuttosto invasivi per il paziente, in quanto prevedono l’inserimento nel cervello di speciali elettrodi capaci di raccogliere il segnale proveniente dall’esterno. Ora, invece, si prospetta la possibilità di inviare al cervello impulsi ottici, senza bisogno di interventi.

Poiché non devono essere impiantati nel cervello o in altri tessuti, secondo Rabbitt questi strumenti possiedono il potenziale per un’eccellente biocompatibilità. Il ricercatore rimane però molto cauto sui tempi di sviluppo: tecnologie simili avranno bisogno di una decina di anni di studi prima di essere realizzate, in quanto dovranno raggiungere la giusta dimensione ed efficienza, oltre alla massima sicurezza.

Crediti immagine: Kevin Dooley, Flickr

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Livia Marin
Dopo la laurea in fisica presso lʼUniversità di Trieste ho ottenuto il Master in Comunicazione della Scienza della SISSA. Sono direttrice responsabile di OggiScienza dal 2014 e, oltre al giornalismo, mi occupo di editoria scolastica.