LA VOCE DEL MASTER

L’anello debole della malaria

Importante scoperta sul fronte della lotta alla malaria: una nuova classe di farmaci chemioterapici interferisce con il meccanismo di crescita del Plasmodium falciparum, il più comune responsabile della malattia. Con un rischio ridotto di resistenza.

LA VOCE DEL MASTER- È latitante nelle cronache dei quotidiani occidentali eppure resta ancora un’emergenza sanitaria dai numeri impressionanti. La malaria causa ogni anno circa un milione di morti e 250 milioni di nuove infezioni, specie nelle regioni più povere di Asia, Africa, America Latina e Oceania. Miliardi i dollari investiti nel tempo per ridurre l’impatto mortale del parassita responsabile, il Plasmodium, che ha sviluppato una forte resistenza alla maggior parte dei farmaci in uso, così come agli insetticidi utilizzati per disinfestare le zone endemiche. E neppure la ricerca su un vaccino ha dato, finora, buoni frutti. Forse, però, qualcosa potrebbe presto cambiare. Grazie a una classe di farmaci già utilizzati per altre patologie (i tumori), si potrebbero aprire nuovi scenari per una cura efficace.

Una task force di ricercatori da tutto il mondo ha pubblicato a marzo su “Cellular Microbiology” uno studio che, secondo i risultati dei test in vitro, potrebbe rivoluzionare l’attuale approccio alle più diffuse terapie farmacologiche contro la malattia. In prima battuta, i ricercatori hanno indagato a livello biochimico come il parassita, una volta eluso il sistema immunitario, riesca a infettare i globuli rossi e le cellule del fegato (epatociti) nell’ospite umano. In particolare, è stato osservato che il parassita si fa strada nelle cellule umane manipolando una particolare sequenza di reazioni biochimiche (chiamata nel complesso PAK-MEK) dell’ospite stesso. Questa sequenza, che potremmo definire come uno scambio di informazioni a livello molecolare, è estremamente attiva nei globuli rossi e nelle cellule del fegato infettate artificialmente con il Plasmodium, mentre è silente in quelle non contaminate, utilizzate come campione di controllo. Secondo i ricercatori, è proprio l’accensione di questa sequenza che permette al parassita di ricrearsi un ambiente adatto per sopravvivere e per riprodursi.

A questo punto, ai ricercatori dell’EPFL Global Health Institute e dell’INSERM francese è bastato fare due più due. Infatti, questa stessa sequenza PAK-MEK è attivata anche in un altro caso ben noto, e cioè in alcuni tipi di tumori. In questo caso, si tratta di un meccanismo che permette alle cellule cancerogene di proliferare in modo incontrollato e che è già bersaglio di alcuni farmaci antitumorali messi a punto negli ultimi anni. Sono chiamati “inibitori di chinasi”, perché impediscono l’accensione di alcune proteine (le chinasi, appunto) coinvolte in vari processi cellulari, tra cui la sequenza PAK-MEK. Ed ecco la novità: gli autori dello studio sul Plasmodium hanno mostrato che, somministrando (in vitro) questa nuova classe di molecole alle cellule infettate con il parassita, questo muore.

Questo rivoluzionario approccio potrebbe contrastare la prima causa della mortalità della malaria: la resistenza ai farmaci in commercio. Se le attuali terapie prevedono di colpire unicamente il parassita, questa nuova strategia si concentrerebbe soltanto sui meccanismi cellulari attivati nell’ospite umano dal protozoo nel momento dell’infezione. Rendendo ostili soltanto le condizioni di sviluppo negli uomini, il Plasmodium avrebbe minori possibilità di mutare i propri geni per resistere alle terapie farmacologiche. Sul fronte della tossicità degli inibitori di chinasi, gli autori garantiscono che un trattamento farmacologico breve scongiurerebbe i rischi a cui sono esposti i pazienti affetti da cancro durante la più lunga terapia chemioterapica.

Se i test sui modelli animali confermeranno l’intuizione del gruppo di ricerca, la parola dovrebbe passare alle organizzazioni in prima linea nella lotta contro la malaria, come la Global Partnership Roll Back Malaria, che riunisce più di 90 istituzioni sotto la guida dell’Organizzazione mondiale della sanità, con il compito di supportare le nuove strategie elaborate dalla comunità scientifica.

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