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Pubblica o privata? L’acqua ai referendum

Ecco che cosa ci chiedono esattamente i due quesiti referendari del 12 e 13 giugno sulla gestione del servizio idrico.

SPECIALE REFERENDUM – Ci siamo. Tra due mesi, il 12 e il 13 giugno, si vota per i referendum: quattro quesiti per tre temi, tutti decisamente hot, e cioè la gestione del servizio idrico, la riapertura di centrali nucleari in Italia e il legittimo impedimento del Presidente del consiglio e dei ministri a comparire in udienza penale.
La questione dell’acqua – pubblica o privata per dirla in modo manicheo, ma vedremo che la faccenda è più sfumata – è affrontata dai primi due quesiti referendari, promossi da una galassia di associazioni civiche raccolte sotto l’ombrello del Forum italiano dei movimenti per l’acqua. Vediamo in dettaglio di che si tratta .

Referendum n.1
Chiede l’abrogazione (cioè la cancellazione) dell’articolo 23-bis della legge 133 del 2008 (e successive modificazioni, in particolare quelle introdotte con la legge 166/2009, conosciuta anche come “decreto Ronchi”) sulla modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

Intanto una precisazione: vediamo che si parla di servizi pubblici locali in generale, e non di sola acqua. Di fatto, però, tutta la discussione si concentra proprio sul servizio idrico (acquedotti, fogne, depuratori), perché per altri servizi (come la distribuzione di energia o i trasporti ferroviari locali) prevalgono altre normative specifiche di settore. E allora, acqua sia.

Il nodo della faccenda è l’assetto della gestione del servizio: pubblico, privato o misto? Tradizionalmente siamo abituati a pensare ai servizi pubblici come a servizi  controllati e gestiti pubblicamente, cioè da enti locali, ma in molti casi non è più così da tempo: il controllo rimane pubblico, mentre la gestione viene affidata a privati, nell’ambito di un progressivo percorso di apertura di questi servizi al mercato, al principio di concorrenza e alla logica del profitto.
“Di fatto, già con la legge 142 del 1990 si è prevista la possibilità di scelta tra gestione pubblica e gestione privata, ma appunto di scelta si trattava”, spiega Auretta Benedetti, docente di diritto amministrativo all’Università di Milano Bicocca. La scelta spettava agli enti locali (regioni, province e comuni, fino allo scorso marzo organizzati in Autorità d’ambito, ora abolite) che spesso – ma non sempre – propendevano per la gestione pubblica.

Che cosa cambia, allora, con l’articolo 23-bis oggetto del referendum? Cambia che le possibilità di scelta si riducono drasticamente e, di fatto, vengono limitate a sole opzioni private o miste. L’articolo infatti stabilisce che, a partire dal primo gennaio 2012, la gestione del servizio idrico vada affidata in via ordinaria o a imprenditori e società privati (scelti con apposito bando di gara) oppure a società miste pubblico/privato, in cui il privato “pesi” almeno per il 40%. Solo in casi eccezionali, in cui di fatto non si configura un mercato (per esempio per particolari caratteristiche economiche, sociali o ambientali del contesto territoriale), la gestione può essere affidata alle cosiddette società in house, che sono società pubbliche costituite dagli stessi enti locali. L’affidamente, comunque, deve essere autorizzato dell’Antitrust, il garante della concorrenza e del mercato.

Riassumendo, la norma oggi in vigore limita la possibilità di scelta degli enti locali e impone di fatto la preferenza per assetti privati. Il tutto, recita, “in applicazione della disciplina comunitaria”, cioè adeguandosi a quanto previsto dalla Comunità europea. “In realtà si tratta di un’interpretazione piuttosto libera dell’ordinamento comunitario”, precisa Benedetti. “Questo infatti prevede certamente una serie di principi che vanno nella direzione dell’apertura alla concorrenza e al mercato, ma non è affatto sfavorevole alla gestione pubblica dei servizi”. E alcuni esempi recenti lo dimostrano: pensiamo a Parigi che, dopo una parentesi privata, ha scelto di tornare a strategie di gestione pubblica della sua acqua.

Come si vota, dunque, al referendum? Se si desidera lasciare in vigore l’articolo 23-bis (legge 133/2008 e modifche), promuovendo la privatizzazione dei servizi idrici, bisognerà votare NO. Se invece si desidera eliminarlo, bisognerà votare .

Referendum n.2
Chiede l’abrogazione del comma 1 dell’articolo 154 del decreto legge 152 del 2006 sulla determinazione delle tariffe del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito.

Qui il nocciolo della questione riguarda uno dei vari elementi che contribuiscono a definire la tariffa del servizio, cioè in pratica la bolletta dell’acqua. Il comma 1 dell’articolo sotto esame, infatti, stabilisce che la tariffa deve essere determinata tenendo conto di vari aspetti tra cui la qualità dell’acqua e del servizio fornito, i costi di realizzazione e di gestione delle strutture necessarie a mantenerlo e l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, vale a dire la necessità di un guadagno per chi ha investito del capitale nel servizio. Se il gestore è pubblico, si tratta semplicemente di fare in modo che le tariffe siano sostenibili rispetto agli investimenti effettuati. Se invece il gestore è privato, va da sé che debba essere contemplato un profitto: un privato non gestisce l’acqua senza margini di guadagno. Ed è proprio questo che non va giù ai promotori del referendum, che chiedono di votare, cioè di abrogare dall’articolo in questione il riferimento all’adeguata remunerazione, per fare in modo che le logiche del profitto escano dalle tariffe di un bene essenziale come l’acqua. Chi invece valuta positivamente la privatizzazione del servizio (e la sua adesione a logiche di mercato), dovrà votare NO, per mantenere in vigore l’articolo.

Va detto però che, in caso di raggiungimento del quorum e di vittoria del sì, l’effetto di questo secondo quesito referendario non sarà rivoluzionario: l’abrogazione dell’inciso sulla remunerazione non impedirebbe in modo automatico l’ingresso dei privati nel servizio idrico, anche se di certo lo renderebbe più difficoltoso, costringendo a cercare altre forme di remunerazione del gestore.

Il discorso sull’acqua non finisce qui: nei prossimi giorni,sentiremo la voce dei sostenitori del Sì e del No per i due quesiti. Stay tuned!

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance