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SPECIALE 150 ANNI: Margherita Hack

SPECIALE 150 ANNI – Margherita nacque a Firenze nel 1922, proprio alla vigilia del ventennio fascista, in una casa poco lontana da Campo di Marte, allora un enorme prato utilizzato anche come aeroporto per piccoli aerei con ali di tela pilotati dal mitico Magrini.

Figlia unica, era una bambina solitaria, con pochi amici. Suo padre fu il suo primo, e spesso unico, compagno di giochi. Era stato infatti licenziato quando Margherita aveva quattro o cinque anni perché non iscritto al partito fascista, e da allora non ebbe mai più un lavoro fisso. Era la madre a mantenere la famiglia: diplomatasi all’Accademia di Belle Arti, dipingeva miniature dei quadri degli Uffizi che vendeva ai turisti.

Dopo la scuola elementare, che compì quasi del tutto da privatista, Margherita si iscrisse al ginnasio Galileo Galilei, il più antico di Firenze. A scuola andava bene e trascorreva tutto il tempo libero all’aperto, per esempio al giardino pubblico del Bobolino. Fu qui che un giorno del 1933 incontrò Aldo De Rosa, allora tredicenne, che diventerà il suo compagno di vita. Si sposeranno nel 1944.

Lo sport entrò nella vita di Margherita un po’ per caso, quando le chiesero di partecipare ai Giochi della Gioventù. Sebbene questa prima prestazione, improvvisata, fosse un vero disastro, iniziò ad allenarsi e ottenne ottimi risultati nel salto in lungo e nel salto in alto. Anche la bicicletta l’appassionava. Gliel’avevano regalata i suoi genitori per l’ammissione alla prima liceo e da allora divenne il suo mezzo di trasporto preferito. Antifascista convinta durante il liceo, vide i suoi compagni e professori ebrei cacciati da scuola da un giorno all’altro, in conseguenza delle infami leggi razziali, e quando l’Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940 strappò la bandierina italiana che aveva attaccato alla bicicletta.

Oggi è conosciuta come una delle maggiori scienziate italiane, ma alla scienza ci arrivò abbastanza per caso.
Già la scelta della facoltà universitaria non fu dettata da una passione per la scienza. Su suggerimento dei suoi genitori si iscrisse prima a Lettere perché era brava nei temi e le piaceva scrivere le cronache delle partite di calcio della Fiorentina dopo averle lette sulla «Nazione». Che la facoltà di Lettere non fosse la scelta giusta ci mise poco a capirlo: alla prima lezione si annoiò talmente che decise di passare a Fisica dove c’era una sua amica di liceo. Man mano che proseguiva nei corsi, però, Margherita si dimostrava migliore della maggior parte dei suoi compagni e lo studio la divertiva: aveva fatto la scelta giusta. Il primo incontro con l’astronomia e l’astrofisica furono le lezioni del prof. Giorgio Abetti, esperto di Sole, e del suo assistente Mario Fracastoro. In ogni caso non fu un colpo di fulmine e inizialmente Margherita non pensava che alle stelle e all’universo avrebbe dedicato più di cinquant’anni di vita. Fu di nuovo un po’ per caso che cominciò a occuparsene più seriamente quando si trattò di scegliere un argomento per la tesi. Non volendo una tesi compilativa, che l’avrebbe obbligata a un lavoro per biblioteche, l’unica possibilità era proprio l’astronomia sotto la direzione di Fracastoro, allora un giovane assistente entusiasta e pieno di energia. Così, senza nemmeno che se ne rendesse conto, le si aprirono le porte della sua professione futura.

Il periodo di tesi coincise con gli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale. La sera del 7 agosto 1944 i tedeschi si ritirarono da Firenze. Distrussero tutti i ponti sull’Arno a eccezione del Ponte Vecchio. La mattina dopo centinaia di persone scesero in strada ad acclamare gli Alleati che entrarono nella parte sud della città. Lunghe colonne di camion sfilarono nelle strade distrutte. Ci vollero altre due settimane perché riuscissero a passare sull’Arno e a liberare anche il centro e la periferia nord. Il lavoro di tesi rimase indietro, un po’ perché il telescopio necessario per le osservazioni non era in funzione e un po’ perché le necessità quotidiane (procurarsi l’acqua, la legna per il fuoco ecc.) portavano via tempo ed energie. Nel gennaio 1945 l’Università riaprì e Margherita poté finalmente laurearsi.

Nel frattempo Margherita e Aldo si erano anche sposati. Dopo il periodo dei giochi si erano persi di vista per una decina d’anni. Quando si ritrovarono però nacque un sodalizio di affetto e di interessi intellettuali e culturali che li portò in modo naturale al matrimonio, che avvenne il 19 febbraio 1944 nella bellissima chiesetta bizantina di via San Leonardo. Il matrimonio religioso fu una scelta di Aldo alla quale Margherita, convinta atea, dovette adeguarsi. Una cerimonia breve, senza messa, né comunione, né vestito bianco, niente viaggio di nozze e un pranzo da soli con cibo razionato, essendo in tempo di guerra. Andarono a vivere nella casa dei genitori di Margherita, in via Ximenes, grande abbastanza e con il giardino e il pozzo con l’acqua. Di case Margherita e Aldo ne hanno cambiate molte in Italia e all’estero, ma un tratto le accomuna: sono sempre state semplici, senza fronzoli inutili, spaziose quanto basta per far posto ai libri e agli animali, cani e gatti a cui hanno sempre dato ospitalità.

Ma anche la laurea non determinò per lei una sua collocazione definitiva nella comunità scientifica internazionale. Il suo primo lavoro, infatti, non aveva niente a che fare con la ricerca in astronomia. Cominciò con un breve periodo di insegnamento all’Istituto di Ottica, e poi si trasferì a Milano per lavorare alla Ducati: il suo compito era scrivere le istruzioni per una nuovissima macchina fotografica, la Sogno, allora molto all’avanguardia.
Intanto studiava per il concorso per diventare astronomo, che però andò male perché Margherita non seppe rispondere alla domanda “Perché la Luna ci rivolge sempre la stessa faccia?”. Non ci aveva mai pensato e così fallì la prova. Ritornata a Firenze, riprese le lezioni all’Istituto di Ottica e all’Osservatorio Astronomico di Arcetri. Era “precaria” come si direbbe oggi e guadagnava ventimila lire al mese.

Divenne finalmente assistente di Fracastoro che a sua volta era diventato professore. Cominciò la sua prima ricerca autonoma sulla stella Zeta Tauri, molto calda e con un comportamento strano che meritava un approfondimento. In breve ottenne dei risultati interessanti e si convinse così di essere una vera scienziata.

La libertà con cui Margherita ha potuto seguire la sua carriera scientifica è dovuta anche allo straordinario rapporto con il suo compagno, Aldo. Lui, letterato con una cultura ampia e multiforme, ha sempre coltivato i propri interessi privatamente, senza una professione che lo legasse a un lavoro fisso. Ha così potuto seguire Margherita nelle sue pellegrinazioni in giro per il mondo. Nei primi tempi hanno vissuto a Parigi, dove Margherita aveva una collaborazione con l’Institut d’Astrophysique che negli anni Cinquanta era uno dei migliori del mondo. Poi andarono a Merate, succursale dello storico Osservatorio Astronomico di Brera, in Olanda a Utrecht, e infine a Berkeley in California.
Nel 1959 ritornarono stabilmente in Italia, prima a Merano e poi Trieste dove Margherita divenne direttore dell’Osservatorio nel 1963. In quel periodo cominciò anche a occuparsi di organizzazione della ricerca ed entrò in vari organismi e comitati nazionali che servirono a dare una sistemazione moderna alla scienza nazionale.
L’Osservatorio di Trieste all’inizio degli anni Sessanta era il peggiore d’Italia. Sotto la direzione di Margherita cominciò ad attrarre giovani da tutto il mondo e in pochi anni si trasformò in una moderna struttura di ricerca guadagnando rispetto a livello internazionale. Nel 1967 cominciò anche la costruzione della nuova sede con strumentazione adeguata sul Carso triestino, dove il cielo è limpido e le luci della città non arrivano a disturbare le osservazioni. Il suo compito fu facilitato dal fatto che a Trieste, su impulso del fisico Paolo Budinich, si stavano realizzando una serie di istituzioni scientifiche internazionali che avrebbero portato un flusso di persone e di idee da tutto il mondo e avrebbero trasformato Trieste in una vera e propria “città della scienza”.
Nei suoi anni di direttore, Margherita ha lottato per non farsi divorare dalla burocrazia, per ritagliarsi il tempo per continuare a fare ricerca. Nel periodo immediatamente successivo al movimento studentesco del ’68, sperò che una ventata di democrazia vera potesse entrare nel mondo accademico e rinnovarlo. Nel 1984, quando lasciò la direzione, all’Osservatorio di Trieste lavoravano più di ottanta persone e si conducevano ricerche tra le più avanzate, attraverso una rete di collaborazioni che coinvolgevano scienziati da tutto il mondo. Sono stati vent’anni di scoperte fondamentali per l’astrofisica e Margherita è soddisfatta di avere dato il suo contributo a tutto ciò. Man mano che il suo ruolo come scienziata attiva diminuiva, sono cresciuti i suoi impegni politici, civili, nella divulgazione. Dal 1997, quando è andata in pensione a 75 anni, non ha più un minuto libero! È ancora una persona attiva e impegnata: «Novant’anni, — dice — sembra ieri e sembra mille anni fa!».

[continua…]

[scritto da Simona Cerrato]

Fonti, risorse bibliografiche, siti

Simona Cerrato – Margherita Hack, L’universo di Margherita, Trieste, Editoriale Scienza 2006

Margherita Hack, Libera scienza in libero stato, Milano, Rizzoli 2010

Margherita Hack, L’amica delle stelle. Storia di una vita, Milano, BUR Biblioteca Universale Rizzoli 2000

Daniela Cipolloni, Intervista a Margherita Hack: Voglio una scienza libera, in «OggiScienza» 2 febbraio 2010

(Questo posto fa parte dell’iniziativa in collaborazione con Enciclopedia delle Donne in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Una serie di biografie di scienziate – che vengono pubblicate su entrambi i siti – che hanno dato il loro contributo alla storia della cultura del nostro paese.)

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