AMBIENTEECONOMIA

Braccia restituite all’agricoltura

foto di Sean ChurchMettete un Phd di Princeton a lavorare la terra. Un disastro? Forse, ma in questo caso da un connubio improbabile è nato un progetto tanto ambizioso quanto rivoluzionario.

AMBIENTE – “Ero frustrato che la mia educazione non mi avesse aiutato a risolvere i problemi impellenti del mondo, ecco perché ho iniziato a lavorare nel settore agricolo”. Così Marcin Jakubowski racconta a Oggiscienza il perché della sua scelta, una scelta che apparentemente non fa una grinza, anche se a prima vista sembra quasi un’involuzione da nerd a bifolco (o evoluzione, dipende dai punti di vista). In realtà rappresenta una piccola rivoluzione. Sì, perché Jakubowski, nato in Polonia (ora vive in Germania), dopo aver ottenuto il dottorato in Fisica alla Princeton University, qualche anno fa decise di darsi all’agricoltura in Missouri, Stati Uniti. Si rese presto conto però che le macchine che usava erano molto costose e si rompevano spesso. E cosa potrebbe mai fare uno smanettone pentito? Ovvio: creare il “Global Village Construction Set”, una piattaforma open che riunisce una cinquantina di software open-source per la progettazione di macchinari industriali. Non solo. Il progetto mette a disposizione online, attraverso un sito wiki, istruzioni, video-tutorial, previsioni di budget, e design in 3D.

I macchinari (da trebbiatrici, a macchine per la produzione di mattoni) riescono così ad essere prodotti autonomamente usando materiali riciclati o riciclabili, sono modulari, low-cost, con una grande resistenza e costano otto volte meno rispetto a quelli acquistabili sul mercato. In soli sei giorni, con questo metodo, si riesce a costruire un intero trattore.

Il progetto si chiama “Open Source Ecology“, ed è diventato un network di ingegneri e agricoltori che applica i concetti di OpenSource e Do-it-your-self (banalmente il fai-da-te) al settore tecnologico e agricolo.

“Open source”, letteralmente “sorgente aperta”, è quel concetto secondo cui, in sostanza, la collaborazione e la condivisione permettono di realizzare meglio e più facilmente obiettivi complessi. La “sorgente” in questione è quella dei codici informatici, che una volta lasciati aperti, cioè liberi di essere modificati e migliorati, hanno permesso di creare prodotti come il browser Firefox, o Android, il sistema operativo alla base di molti smartphone (tanto per citare qualche esempio). Insomma, una roba da nerd informatici un po’ fricchettoni? Forse lo era all’inizio, durante gli anni Sessanta. Ora pare dare più risultati rispetto alla protezione e alla segretezza produttivo/industriale. “In realtà il concetto non è nuovo, lo è solamente il termine”, spiega Jakubowski. “È una prassi applicabile a vari ambiti. Open Source Ecology, infatti, non riguarda solo l’agricoltura, ma una vasta gamma di settori legati ai bisogni primari di ognuno: alimentare, domestico, energetico, dei trasporti, dei materiali, e della fabbricazione flessibile. Le uniche limitazioni sono quelle imposte da noi stessi”.

Ma come funziona? Intanto le pagine del sito del Global Village Construction Set (GVCS) sono tutte wiki, cioè implementabili dagli utenti. Una volta entrati, ognuno può consultare liberamente i manuali di istruzione, l’elenco dei materiali e lo studio dei costi, costruendo così autonomamente, con pochi soldi, usando prevalentemente materiali riciclati o riciclabili e a basso impatto energetico, una gamma variegata di macchine: non solo trattori, presse per l’olio, bulldozer, pale meccaniche, ma anche trivelle per l’approvvigionamento idrico, generatori, robot industriali, macchinari utensili, turbine eoliche, passando per stampanti 3D e autoveicoli.

Chiaramente, alla fonte di tutto c’è la condivisione. Chi prende gratis deve anche dare gratis, in qualche modo. E ovviamente c’è uno scambio continuo tra gli sviluppatori e gli utilizzatori in tutto il mondo. “Ci sono anche molte adesioni da parte di italiani”, racconta Jakubowski. “Per partecipare bisogna andare sul sito, leggere le varie informazioni e consultare la sezione Project Needs, per capire come si può contribuire. E poi bisogna condividere con gli altri chi sei, cosa fai e come potresti aiutare il progetto, compilando il Team Culturing Survey. Le proposte inoltre devono essere concrete, assicurando un impegno reale”. No ai perditempo, insomma. Anche perché se la cosa progredirà, potrà rappresentare un aiuto concreto anche ai Paesi più poveri, su vari fronti: bassi costi, materiali comuni, basso consumo energetico, stimolo alla produzione, e, non meno importante, circolazione delle idee.

Un altro fattore da non sottovalutare è la mancanza di interessi industriali privati. “Continueremo a sostenerci attraverso il crowd funding (la ricerca di fondi collettiva), le donazioni da soggetti nonprofit e dalla vendita dei nostri prodotti”, precisa Marcin Jakubowski, che ha obiettivi importanti e a lungo termine: “Nel breve periodo produrremo un ordine di quattro trattori e delle presse CEB. Poi durante tutto il prossimo anno contiamo di implementare il GVCS attraverso collaborazioni parallele. Poi, entro il 2014 finiremo il primo prototipo di post-scarcity community e quindi, entro il 2016 ci aspettiamo una replicazione virale del progetto in tutto il mondo”.

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