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Robot altruisti

Ora anche la robotica conferma la regola di Hamilton, e si aprono nuove prospettive per l’ingegneria.

FUTURO – Come si è evoluto l’altruismo? Se dal punto di vista genetico un individuo di una specie risponde al semplice imperativo di duplicare quanto più possibile i propri geni, com’è possibile che alcune di queste specie, compresa la nostra, cooperino, anche compromettendo la sopravvivenza individuale? È la domanda centrale del saggio del 1976 Il gene egoista, che da oltre trent’anni spiega (anche) ai non specialisti come il paradosso sia solo apparente, a patto che riconosciamo come bersaglio ultimo della selezione naturale non l’organismo, ma i suoi replicatori (nel DNA, non ci sono solo i “geni” a portare informazione).

Dal punto di vista quantitativo, infatti, l’altruismo si fissa nella specie secondo la regola di Hamilton, dal nome del biologo William Donald Hamilton che la formulò nel 1964.

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Dove r è la parentela genetica, B il beneficio ricavato dall’atto altruistico e C il costo per chi compie l’atto

In poche parole l’altruismo può evolversi solo se non indiscriminato, cioè se i primi a godere della cooperazione e del sacrificio sono i familiari. Solo così lo svantaggio per l’individuo altruista è in realtà un vantaggio per le copie dei suoi geni presenti che così possono continuare a replicarsi: questo, alla fine, è quello che conta. Il tutto prende il nome di kin selection (selezione di parentela) secondo una definizione di un altro pioniere nello studio delle basi genetiche del comportamento, John Maynard Smith.

L’altruismo emerge quindi dall’ “egoismo” dei replicatori.

Queste ipotesi sono state ampiamente verificate e accettate, e malgrado qualche irriducibile perseveri nel rifiutare la selezione di parentela in favore della selezione di gruppo (concetto molto evanescente e ridefinito innumerevoli volte per cercare di sopravvivere nel dibattito scientifico), la regola di Hamilton è tutt’ora un caposaldo.

Ma vale solo per le istruzioni scritte nel DNA, o anche per altri tipi di informazione?

Dario Floreano ha verificato che seguendo questa regola anche i robot diventano altruisti, offrendo nel contempo un semplice ma funzionale modello evolutivo che permette di assegnare, senza approssimazione, valori numerici alla regola e alle sue derivazioni, cosa impossibile da ottenere in natura o in laboratorio usando “normali” esseri viventi.

Per l’esperimento Floreano e la sua equipe al Laboratory of Intelligent Systems dell’EPFL (École Polytechnique Fédérale de Lausanne) hanno utilizzato dei semplici minirobot (2 x 2 cm) della serie Alice. Il set base di istruzioni fornito a queste macchine (dotate soltanto di ruote, telecamera, sensore a infrarossi e batteria) stabilisce che ogni volta che il “cibo” (i dischetti neri nella foto di apertura) è trasportato da un robot verso una delle pareti della piccola arena che costituisce il loro habitat, l’individuo riceve un certo punteggio che nel modello equivale alla fitness. Ogni robot conta su 33 geni che controllano il modo in cui questi si interfaccia con l’ambiente, e precedenti lavori dello stesso Floreano hanno dimostrato che questo genoma può evolvere per selezione naturale se a ogni generazione è sottoposto a mutazione casuale unita al crossing over: generazione dopo generazione il comportamento dei robot smette di essere caotico e si (auto)organizza rendendoli efficienti formiche.

Ma cosa succede se ai robot è data la possibilità di dividere il punteggio di volta in volta ottenuto con i suoi simili?

Un test condotto su 20 popolazioni di robot ha evidenziato che l’altruismo si afferma se, e solo se, gli individui con i quali il punteggio è condiviso sono imparentati, e che l’altruismo è tanto più evidente quanto più profondo il grado di parentela. I risultati raccolti coprono 500 generazioni, anche se gran parte delle quali sono state simulate totalmente al computer per motivi pratici, ma alla fine i geni inseriti nei minirobot si sono comportati secondo le aspettative. E ora? Ora, afferma Floreano

Siamo in grado di prendere questo esperimento e usarlo per estrarre un algoritmo che possa essere usato per fare evolvere la cooperazione in ogni tipo di robot […]. Stiamo usando questo algoritmo altruistico per migliorare i sistemi di controllo dei nostri robot volanti e stiamo osservando che questo permette loro di cooperare e volare in stormo con più successo di prima.

Qui di seguito Dario Floreano illustra i risultati alla webtv dell’EPFL.

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Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, mi sono formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrivo abitualmente sull’Aula di Scienze Zanichelli, Wired.it, OggiScienza e collaboro con Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione. Ho scritto col pilota di rover marziani Paolo Bellutta il libro di divulgazione "Autisti marziani" (Zanichelli, 2014). Su twitter sono @Radioprozac