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Nasce il laser vivente: merito di una medusa

FUTURO – La notizia di un laser vivente sembra venire fuori da un fumetto o da un film di fantascienza: eppure è proprio quanto hanno inventato due ricercatori del Wellman Center for Photomedicine del General Hospital del Massachusetts, Stati Uniti. In un rapporto che sarà presto pubblicato sulla rivista Nature Photonics, e di cui si è avuta un’anticipazione online, i due ricercatori, Malte Gather e Seok Hyun Yun, spiegano come una singola cellula geneticamente modificata in modo da esprimere una proteina verde fluorescente (detta Gfp) possa essere usata per amplificare particelle di luce, i fotoni, in impulsi di luce laser della durata di qualche miliardesimo di secondo.

 “Da quando hanno cominciato a essere prodotti circa cinquant’anni fa, i laser hanno fatto uso di materiali sintetici come cristalli, coloranti e gas purificati: all’interno di questi mezzi, gli impulsi dei fotoni vengono amplificati facendo rimbalzare le particelle avanti e indietro tra due specchi”, spiega Yun. “Il nostro è il primo studio ad aver prodotto con successo un laser biologico basato non su materiali inanimati, ma su singole cellule viventi”.

Gather, primo autore dell’articolo, aggiunge: “Parte delle motivazioni di questo progetto è venuta da semplice curiosità scientifica. Oltre a esserci resi conto che le sostanze biologiche non avevano giocato finora ruoli di rilevanza nella costruzione dei laser, ci siamo chiesti se ci fosse una ragione fondamentale perché la luce laser, per quanto ne sappiamo, non si trovi in natura, o se invece potessimo trovare un modo per ottenere laser partendo in sostanze biologiche o in organismi viventi.

I ricercatori hanno scelto la Gfp per esplorare le loro domande, poiché si può indurre questa proteina – il cui ritrovamento in una specie di medusa è valsa il Nobel per la chimica 2008 a Osamu Shimomura, Martin Chalfie e Roger Y. Tsien – a emettere luce senza farvi agire ulteriori enzimi. Le sue proprietà sono ben note, ed esistono tecniche già impiegate con successo per programmare geneticamente diversi organismi in modo tale da far loro esprimere la Gfp. Per determinare la capacità della proteina a generare luce laser, i ricercatori hanno in primo luogo assemblato un dispositivo consistente in un cilindro lungo qualche centimetro, con specchi alle due estremità e riempito di una soluzione di Gfp e acqua. Dopo aver confermato che la soluzione di Gfp poteva amplificare in brevi impulsi di luce laser l’energia fornita, Gather e Yun hanno fatto una stima della concentrazione di Gfp necessaria alla produzione dell’effetto laser.

Una volta in possesso di queste informazioni, il passo successivo è stato sviluppare una linea di cellule di mammifero che esprimessero la Gfp ai livelli richiesti. Il laser cellulare è stato assemblato sistemando una singola cellula esprimente la Gfp – con un diametro tra i 15 e i 20 milionesimi di metro – in una microcavità consistente di due specchi altamente riflettenti, lontani tra loro 20 milionesimi di metro. Non solo il dispositivo formato dalla singola cellula ha prodotto impulsi di luce laser come nell’esperimento con la soluzione di Gfp, ma i ricercatori hanno anche trovato che la forma sferica della cellula ha agito da lente, rifocalizzando la luce e inducendo l’emissione di luce laser a livelli di energia anche più bassi di quanto richiesto per il dispositivo basato sulla soluzione. Le cellule usate nel congegno sono sopravvissute al processo di lasing e hanno continuato a produrre centinaia d’impulsi di luce laser.

“Se gli impulsi laser individuali prodotti durano solo pochi miliardesimi di secondo, essi sono però sufficientemente luminosi da essere prontamente rilevati, e ci forniscono informazioni molto utili, che ci potrebbero permetterei di analizzare quasi istantaneamente le proprietà di un gran numero di cellule”, afferma Yun, docente di dermatologia alla Harvard Medical School. “Inoltre, la capacità di generare luce laser da una fonte biocompatibile posta all’interno di un paziente potrebbe essere usata per terapie fotodinamiche, in cui i farmaci sono attivati dall’applicazione di impulsi luminosi, o anche nuove modalità di imaging.”

Conclude, infine, Gather: “Uno dei nostri scopi a lungo termine sarà trovare modi di trasferire le comunicazioni ottiche, attualmente parte del regno dei dispositivi elettronici inanimati, nel dominio delle biotecnologie. Ciò sarebbe particolarmente utile in progetti che richiedessero l’interfacciamento dell’elettronica con organismi biologici. Speriamo anche, in futuro, di poter impiantare una struttura equivalente a quella della camera a specchi direttamente nelle cellule: se dovessimo riuscirsi, sarebbe un enorme passo in avanti nel nostro campo di ricerca”.

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