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Funghi allucinanti

Nonsolomeduse. Qualche tempo fa su OggiScienza si è parlato dell’invenzione del primo laser vivente, resa possibile grazie alla proteina verde fluorescente, estratta da una particolare specie di medusa. La stessa proteina è stata usata anche per creare zanzare resistenti al plasmodio della malaria. Ora tocca ai funghi.

Nel 1840, il botanico inglese George Gardner narrò di aver assistito a una scena inusuale per le strade di Natividade, un paesino al centro del Brasile. Vide un gruppo di ragazzi giocare con un oggetto luminoso, che si rivelò poi essere un fungo luminescente. Lo chiamavano flor-de-coco, fiore di cocco, e mostrarono a Gardner il luogo in cui cresceva tra fronde in decomposizione, alla base di una palma nana. Gardner inviò il fungo all’Erbario di Kew, in Inghilterra, dove fu studiato e chiamato Agaricus gardneri, in onore del suo scopritore. In seguito, la specie non è più stata avvistata. Fino al 2009.

Dennis Desjardin e colleghi, ricercatori alla State University di San Francisco, hanno ora raccolto nuovi campioni di questo fungo dimenticato, e l’hanno riclassificato come Neonothopanus gardneri. I risultati dello studio sono ora in rete, e la loro pubblicazione è prevista sul numero di novembre/dicembre di Mycologia.

I ricercatori sperano che uno studio attento del fungo brasiliano, che brilla abbastanza da permettere di leggervi un libro vicino, e dei suoi altri cugini bioluminescenti sparsi per il mondo aiutino a rispondere alla domanda su come e perché alcuni funghi brillino.

Desjardin, docente di ecologia al dipartimento di biologia dell’università californiana, ha determinato, insieme ai suoi colleghi, la classificazione del fungo nel genere Neonothopanus, dopo averne esaminato con attenzione l’anatomia, la fisiologia e il pedigree genetico. Ma trovare nuove specie del fungo da studiare è stato difficile, ha affermato Desjardin, e ha richiesto un approccio diverso da quello di una normale caccia ai funghi.

Per riuscire a captare il bagliore verde del fungo luminescente, raccontano Desjardin e il suo collega brasiliano Cassius Stevani, “siamo dovuti uscire nelle notti di luna nuova e addentrarci nella foresta, tra la fitta vegetazione, facendo attenzione ai serpenti velenosi e ai giaguari in agguato”. Sembrano scene da film hollywoodiano degli anni Ottanta.

“Progressi tecnologici come le fotocamere digitali hanno reso più semplice rintracciare i funghi bioluminescenti”, commenta Desjardin. Le nuove fotocamere, infatti, permettono ai ricercatori di fotografare i funghi sospetti di luminescenza in luoghi oscurati, e di analizzare le foto in cerca del bagliore (che a volte è invisibile a occhio nudo) nel giro di pochi minuti, rispetto ai 30-40 richiesti dall’esposizione di una pellicola abituale.

La bioluminescenza – cioè la capacità di alcuni organismi di produrre luce da soli – è un fenomeno più diffuso di quanto s’immagini. Le meduse e le lucciole ne sono forse gli esempi più familiari, ma anche organismi come batteri, funghi, insetti e pesci possono produrre una loro luminosità attraverso una varietà di processi chimici.

I funghi bioluminescenti sono noti da secoli, dall’arancione e velenoso Omphalotus olearius (comunemente noto come fungo dell’olivo) al fenomeno noto come foxfire, in cui i filamenti nutritivi di altri funghi, le armillarie, producono un debole ma inquietante bagliore nei tronchi in decomposizione. I funghi brillanti hanno catturato l’immaginazione di molte culture, afferma Desjardin. “La gente ne è spaventata, li chiama funghi fantasma“.

Le domande che più intrigano Desjardin riguardano le modalità e le ragioni per cui un fungo brilla. I ricercatori credono che i funghi producano luce nello stesso modo in cui lo fanno le lucciole, cioè attraverso una mix chimico di un composto del pigmento biologico luciferina e di una luciferasi. La luciferasi è un enzima che aiuta l’interazione tra la luciferina, l’ossigeno e l’acqua, per produrre un nuovo composto che emette luce.

Ma, nei funghi, gli scienziati non hanno ancora identificato né la luciferina né la luciferasi. “Brillano 24 ore al giorno, finché sono disponibili acqua e ossigeno”, spiega Desjardin. Il perché del bagliore resta un mistero. Alcuni scienziati ritengono che in certe specie di funghi la luce possa servire ad attrarre insetti, e che questi poi contribuiscano a disperdere le spore che danno vita a nuovi funghi.

Ma ciò vale per i funghi in cui a brillare è la parte dove si trovano le spore; non vale per il foxfire, in cui è il micelio filamentoso, usato dal fungo per procurarsi sostanze nutrienti, ad emettere luce. Gli insetti attratti dal micelio, anzi, potrebbero causare più danni che vantaggi, nel caso in cui mangiassero le strutture illuminate.

“Non abbiamo idea del perché ciò avvenga – ammette Desjardin – ed è proprio ciò che vogliamo scoprire: perché accada, come si sia evoluto questo meccanismo, e se si sia evoluto più di una volta. Potremmo essere vicini a rispondere a tutti questi affascinanti interrogativi”.

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