CRONACA

I segreti delle campane tibetane

Non è facile spiegare con la fisica questi fenomeni. Ci hanno provato Denis Terwagne dell’Università di Liegi e John W. M. Bush del Dipartimento di Matematica del MIT di Boston.

Uno studio di acustica e fluidodinamica analizza il suono e le vibrazioni della coppa di metallo e della superficie dell’acqua in una campana tibetana e scopre come rispondono a determinate frequenze.

 

NOTIZIE – Le campane tibetane sono delle ciotole ottenute dalla fusione di sette metalli, ognuno dei quali è, secondo i buddhisti, il simbolo di un corpo celeste: l’oro è il Sole, l’argento la Luna, il mercurio Mercurio, il rame Venere, il ferro Marte, lo stagno Giove, e il piombo Saturno. Ogni ciotola è unica così come i suoni che riescono a produrre, ognuno diverso a seconda della forma, della proporzione e dello spessore dei metalli. Per secoli sono state usate per la meditazione e la preghiera, perché le loro vibrazioni riproducono il suono Om, il suono primordiale attribuito al momento della nascita dell’universo.

È un suono profondo e vibrante che incanta anche i profani, e ancora di più incantano gli straordinari zampilli che si creano se la ciotola è riempita d’acqua e si fa scorrere un batacchio di legno lungo il suo bordo: le vibrazioni fanno increspare l’acqua che zampilla in centinaia di goccioline che corrono sospese sulla superficie in un’incredibile danza. Non è facile spiegare con la fisica questi fenomeni. Ci hanno provato Denis Terwagne dell’Università di Liegi e John W. M. Bush del Dipartimento di Matematica del MIT di Boston. Il loro lavoro è pubblicato sulla rivista Nonlinearity.

Hanno cominciato con riprendere la fisica di Michael Faraday che nel 1831 dimostrò che quando un fluido orizzontale viene fatto vibrare in senso verticale la sua superficie rimane piatta fino a un valore limite dell’accelerazione: a quel punto sulla superficie si formano delle onde che oscillano, con una frequenza pari a metà della frequenza incidente.  Man mano che aumenta la forza impressa, cioè la velocità con cui facciamo girare il batacchio sul bordo della campana tibetana, si originano onde di forme più complesse. Infine le onde diventano caotiche, la superficie si rompe e si formano delle goccioline che rimbalzano, rotolano e scivolano sulla superficie. Gli scienziati le chiamano walker, “camminatrici”.

Affinché le goccioline camminatrici permangano devono rimbalzare a una determinata frequenza, pari alla metà della frequenza dell’accelerazione impressa cosicché entrino in risonanza con le onde sulla superficie dell’acqua. Inoltre l’acqua deve trovarsi in una condizione molto vicina al valore limite dell’accelerazione stabilito da Faraday, in modo che le onde più ampie e lunghe interagiscano con le goccioline che cadono. Ogni gocciolina rimbalza sul fianco dell’onda che si è creata al precedente rimbalzo e riceve un impulso in una direzione specifica lungo la quale procede a velocità costante.

Queste goccioline camminatrici presentano sia un comportamento da particella che un comportamento da onda; questo doppio comportamento corpuscolare-ondulatorio è tipico delle particelle submicroscopiche descritte dalla meccanica quantistica. Si chiedono, allora, i ricercatori se da queste antiche campane per la meditazione possa emergere la moderna fisica.

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