AMBIENTE

Dalle balene ai nanopacemaker

Il professor Jorge Reynolds, studiando per trent’anni il cuore delle balene, è riuscito a realizzare il primo nanopacemaker. Questo strumento potrebbe essere la svolta per la cura delle cardiopatie ma per adesso non conquista il mercato.

AMBIENTE – Dieta troppo grassa, eccesso di alcolici, fumo di sigaretta, mancanza di esercizio fisico e stress, sono queste le principali cause dei problemi cardiaci. Lo sentiamo spesso e forse né abbiamo fatto l’abitudine ma il dato è confermato da più parti: le cardiopatie causano il maggior numero di decessi rispetto a qualsiasi altra patologia.

Da decenni si cerca di far fronte al problema lavorando sulla prevenzione e in particolare si utilizza la tecnologia per correggere i malfunzionamenti cardiaci.

Chi è impegnato da tempo in questo campo è il professore colombiano Jorge Reynolds che studiando il funzionamento del cuore delle balene è riuscito a creare un nanopacemaker, uno strumento minuscolo, lungo appena 700 nanometri (700 milionesimi di millimetro!).

Reynolds, dopo essersi laureato in ingegneria elettronica all’Università di Cambridge nel 1953, ha inventato un prototipo di pacemaker che poteva essere inserito nel cuore per correggere le funzioni cardiache assicurando un battito regolare. Ben millesettecento persone hanno usufruito di questa invenzione e nel 2009 sette di questi pazienti erano ancora in vita. Il prototipo di Reynolds, in mostra al Museo delle scienze di Londra, seppur efficace aveva però le dimensioni di una batteria di un’auto e doveva essere continuamente collegato al corpo.

Dagli anni Sessanta il dottor Reynolds ha deciso di perfezionare la sua invenzione e per far questo ha studiato per trent’anni il cuore delle balene.

Reynolds ha capito che la ricchezza di questi animali non è il grasso, per il quale sono stati cacciati per centinaia d’anni fino quasi all’estinzione, c’è qualcosa di più grande dietro alla vita delle balene. Ad ogni contrazione, per tutta la vita (circa 80 anni), senza nessun tipo d’intervento, il cuore di questi spendidi animali fa circolare 945 litri di sangue lungo ben 160 milioni di chilometri di arterie e di vene.

Come riescono le balene a distribuire l’elettricità attraverso quel corpo enorme e a coordinare il ritmo cardiaco? Come può essere che non si conoscono casi di arresto cardiaco per questi animali?

Partendo da queste domande Reynolds ha costruito uno strumento per monitorare l’elettrocardiogramma dei cetacei da fissare sul corpo dell’animale, in grado di trasmettere i dati via satellite al suo centro di ricerca a Bogotà. Un vero caso di scienza estrema visto che il professore colombiano ha fissato il suo strumento a mano, balena dopo balena, viaggiando in barca nelle acque dell’oceano.

I risultati del monitoraggio (ad oggi l’equipe di Reynolds ha raccolto più di 10 mila elettrocardiogrammi) ha permesso di creare una mappatura del funzionamento del cuore delle balene.

Si è scoperto così che questi animali sono in grado di generare dai sei ai dodici volt di energia elettrica semplicemente utilizzando potassio, sodio e calcio. Le balene hanno dei canali di cellule che sembrano dedicati esclusivamente a dirigere le correnti elettriche all’interno e attorno al cuore e in grado di cambiare il loro percorso per evitare i tessuti danneggiati. Ma per capire a livello molecolare come il potassio, il sodio e il calcio si combinino per produrre correnti elettriche senza metalli o batterie, Reynolds ha studiato l’intera genesi e trasformazione del cuore  delle balene a partire dalla sua materializzazione a livello embrionale dopo il concepimento.

Così dopo trent’anni di ricerche in mare, il professore colombiano ha presentato un nuovo pacemaker ma questa volta completamente differente rispetto al primo prototipo degli anni Sessanta. È costruito in nanotubi di carbonio, minuscoli tubicini del diametro di una cellula, per migliorare la distribuizione elettrica del cuore, è senza fili e capace di utilizzare le fonti di energia presenti nel corpo, è  il primo nanopacemaker.

I test di laboratorio hanno confermato l’efficacia e nonostante si sia dimostrato che il prototipo funzioni nelle balene, per adesso il lavoro dello scienziato colombiano non ha convinto la Food and Drug Administration. Nemmeno le aziende leader nel settore dei pacemaker hanno accolto con entusiasmo la rivoluzione nano. Troppo scomoda forse, un’innovazione che, negli Stati Uniti, comporterebbe una spesa di soli 500 dollari a persona ma eliminerebbe un reddito garantito di 50 mila dollari per ogni paziente a cui viene dignosticato un problema curabile di aritmia cardiaca.

Condividi su