LA VOCE DEL MASTER

Dal metallo al verde

logo_pavTorino, una delle città più green d’Italia, dal 2008 può vantare un’altra anima verde: il PAV, parco dedicato al rapporto tra scienza e arte con il vivente come comune denominatore.

Dove vent’anni fa un’industria metalmeccanica, la Framtek, produceva migliaia di molle per le sospensioni delle automobili, oggi, sorge il Parco Arte Vivente, centro d’arte contemporanea in quel di Torino, “un cantiere ininterrotto, un intreccio dialogico di esperienze aperto alle alterità innovative, in omologia con i sistemi viventi della biosfera“. Sono queste le parole di chi l’ha concepito, Piero Gilardi, artista che ha iniziato la sua attività negli anni ’60 nell’ambito delle tendenze Post-Pop Art per poi partecipare alla nascita del Movimento Arte Povera.

Più di 23.000 metri quadri destinati all’incontro di arte, ecologia e biologia dopo che l’esigenza di stabilire un rapporto equilibrato con la natura è maturato anche fra gli artisti, consapevoli dei gravi danni che la società contemporanea sta arrecando in modo crescente all’ambiente. Il PAV, inaugurato nel 2008, va ben oltre la riqualificazione urbanistica di un’area dismessa; rappresenta, semmai, un valore aggiunto della città. Lontano dall’essere semplicemente un centro espositivo, il PAV è un luogo di scambio, d’incontro e di aggregazione per artisti che lavorano con la materia organica, la processualità, la complessità della biosfera. «Non è un giardino pubblico dove sono state collocate delle sculture», commenta Gilardi, «piuttosto un laboratorio di arte ecologica».

La serra, a cui si accede dalla piazza pedonale, è la porta di ingresso del centro. Con le sue vetrate complete di celle fotovoltaiche, è stata realizzata, così come il resto della struttura, secondo i principi dell’architettura bioclimatica. All’interno, seguendo un percorso meandriforme e privo di luce naturale, BIOMA, il visitatore può fare esperienze di manipolazione artistica, esagerata dall’impiego di programmi informatici basati su algoritmi genetici. I materiali inerti e viventi, grazie agli strumenti tecnologici interattivi, gli permettono di cimentarsi con la frattalità di una foglia, gli odori e i sensi, le microstrutture di un fiore, di una piuma o di una conchiglia, la magica aurea magnetica degli organismi e degli oggetti naturali o, ancora, le onde subacquee.

Varchi aperti nei fianchi dell’edificio semi-interrato collegano l’interno e la corte con il PARCO, un prato privo di percorsi tracciati con ampie aree libere che ospitano le installazioni artistiche. Tra specie erbacee e fiori dove insetti e altri animali possono trovare rifugio e nutrimento, è stato sistemato Trèfle, di Dominique Gonzalez-Foerster, la prima opera d’arte ambientale costruita nell’area del PAV. L’enorme quadrifoglio «può essere vissuto in tre modi e luoghi diversi», dice l’artista, «poiché se vi sono tre bambini, uno può stare sopra, l’altro sotto e l’ultimo nel mezzo», dove per sopra si intende l’area del parco che circonda l’opera, per sotto il canyon e il percorso in acciottolato che la definiscono e per mezzo il suo cuore. Un altro progetto open air sperimentabile attivamente dal visitatore è La Folie du Pav, di Emmanuel Louisgrand, ispirata all’immagine di una “Folie”, cioè una dimora-artefatto del giardino alla francese del XVIII secolo. A metà tra scultura, architettura e giardino e radicata al suolo proprio come un albero, l’installazione ha una durata di due anni per offrire al visitatore lo spettacolo di una lenta metamorfosi. Andrea Caretto e Raffaella Spagna sono invece gli autori di Pedogenesis, che dal greco significa “suolo” e “nascita”. L’obiettivo del loro lavoro è la creazione di un orto botanico, a metà tra pubblico e privato. Così, i due artisti donano il lembo di terra a loro assegnato nell’ambito del progetto Village Green ad un fortunato cittadino vincitore che, per due anni, potrà coltivare il proprio orto e godere dei frutti raccolti. In corrispondenza del fabbricato, dove il terreno in pendenza collega la parte pianeggiante del parco con il tetto verde dell’edificio, è ospitato Jardin Mandala di Gilles Clément, un giardino percorribile di circa 500 metri quadri. Paragonabile ad un dipinto Mandala buddista, dove le numerose specie vegetali sostituiscono la sabbia e i pigmenti, riflette la perfezione ma anche la caducità della bellezza. Clément ha voluto cogliere la sfida di questo sito piantando specie vegetali che si radicano anche nei terreni più aridi e che sopravvivono senza particolari cure di giardinaggio e irrigazione, sollevando così problematiche sull’attuale e globale questione delle risorse idriche e mostrando la capacità della natura di poter vivere secondo la sua naturale evoluzione. Il visitatore lascia il PAV portandosi a casa un’ultima immagine: quella dell’albero e dell’erba incisi nel cemento da Clément stesso, parti dell’ambiente che, ciclicamente e con tempi diversi, restituiscono alla terra quanto prendono. «Un modello di vita mostratoci dalla natura», sostiene l’artista, «verso la quale la società dovrebbe dirigersi».

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