SALUTE

Sclerosi multipla e CCSVI, ci sono prove certe?

SALUTE – È il mese di dicembre del 2008, quando Paolo Zamboni pubblica lo studio che annuncia il nesso causale tra CCSVI e sclerosi multipla. Una scoperta simile ce la si aspetterebbe pubblicata sui giornali scientifici più importanti, come Science o Nature. E invece no, ecco la prima incongruenza di una vicenda ricca di anomalie: l’articolo appare su una rivista di nicchia, il Journal of Neurology, Neurosurgery e Psychiatry.

I limiti dello studio

La prima cosa che si nota leggendo attentamente il lavoro di Zamboni sono i suoi limiti, e in particolare il basso numero di casi e controlli utilizzati: appena 65 pazienti affetti da sclerosi multipla (35 con recidivante-remittente, 20 con secondaria progressiva e 10 con primaria progressiva) e 265 controlli (suddivisi in quattro diversi gruppi). Inoltre lo studio non è stato eseguito in cieco : ovvero chi eseguiva l’esame per la diagnosi di CCSVI (il dopplerista) sapeva già se chi entrava in stanza aveva la sclerosi o no, con il rischio di falsi positivi che potessero condizionare gli esiti della ricerca.

Anche i risultati, a primo impatto sorprendenti, fanno storcere il naso. Zamboni scrive una cosa che in biologia non si avvera mai: il 100% dei controlli ha una circolazione venosa perfetta mentre, cumulando le varie percentuali, il 100% dei pazienti con la sclerosi ha difetti di reflusso (soddisfacendo almeno 2 dei 5 criteri che stabiliscono la CCSVI).

Tutta questione di ferro?

Come spiega Zamboni il supposto rapporto causa-effetto tra CCSVI e sclerosi multipla? La risposta è in una review pubblicata nel settembre 2009 sul Journal of Cerebral Blood Flow and Metabolism insieme ad altri colleghi: l’ipotesi è che la CCSVI provochi un accumulo di ferro nell’encefalo, a sua volta responsabile della formazione delle caratteristiche placche della sclerosi multipla (localizzate sempre nell’encefalo oltre che nel midollo).

La teoria non viene affatto accolta con entusiasmo dalla maggior parte della comunità scientifica, che anzi è molto critica. Maria Giovanna Marrosu, neurologa e direttrice del Centro Sclerosi di Cagliari, a tal proposito afferma che “la teoria dell’accumulo di ferro non può reggere”. Spiega la dottoressa: “In buona parte questo accumulo è legato all’invecchiamento e perciò lo si trova, per l’appunto, nelle persone anziane. Inoltre abbiamo accumulo di ferro anche in altre patologie, come l’anemia mediterranea. Qualcuno allora dovrebbe spiegare perché i pazienti affetti da anemia non presentino una patologia a carico del sistema nervoso centrale”.

In effetti l’anatomia patologica della sclerosi multipla negli ultimi anni ha fatto passi da gigante, in particolare grazie ai lavori di Hans Lassmann, ricercatore presso il dipartimento di neuroimmunologia del Brain Research Institute di Vienna, e di Claudia Lucchinetti, ricercatrice della Mayo Clinic nel Minnesota: i due non descrivono alcun accumulo di ferro. Da evidenziare, inoltre, che Lassmann e Lucchinetti sono anatomopatologi, quindi scevri del presunto conflitto di interesse con le farmaceutiche che, secondo Zamboni, peserebbe invece in capo ai neurologi.

Il fronte di sostegno…

Zamboni e soci, comunque, continuano a pubblicare articoli di conferma alla tesi iniziale, (vedere su Pubmed). E l’interesse si allarga: tra gli articoli “a favore” della tesi sono da citare alcune reviews o studi (spesso presentati in convegni e senza gruppo di controllo) di Marian Simka, Ivo Petrov e Miro Denislic. Ebbene, i tre eseguono nell’Est Europa (Polonia, Bulgaria  e Slovenia) interventi di angioplastica su pazienti affetti da sclerosi multipla (l’operazione viene chiamata “liberazione”) per un costo variabile fra i 4.000 e i 10.000 euro. Difficile dunque credere che non abbiano alcun interesse a sostenere la “Big Idea” (così è stata chiamata) del prof. Zamboni.

 … e quello contrario

Allo stesso tempo, però, sono sempre più frequenti le voci contrarie e le pubblicazioni che riportano risultati incompatibili con quelli riferiti dal primo studio del ricercatore ferrarese. Tra i principali studi che smentiscono la tesi di Zamboni vi è quello di Christoph Mayer sempre sul Journal of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry: uno studio condotto in triplo cieco che trova la CCSVI nello 0% dei malati di sclerosi multipla. Da segnalare anche la pubblicazione di Claudio Baracchini e Paolo Gallo. Attenzione: i due effettuano uno studio su persone affette da CIS (Clinically Isolated Syndrome) le quali quindi hanno avuto un solo sintomo neurologico compatibile con l’insorgenza di una malattia neurodegenerativa. La ricerca viene condotta in cieco e con tre gruppi di controllo. Il risultato ottenuto (16% di CCSVI nei pazienti CIS) è tale da far affermare ai due che “i risultati non supportano una relazione causa-effetto fra CCSVI e PMS (possibile sclerosi multipla)”.

 Zivadinov e il dietro-front

Un capitolo a parte merita lo studio i cui risultati erano forse i più attesi: quello condotto da Robert Zivadinov, ricercatore presso l’Università di Buffalo e co-firmatore con Zamboni di diversi articoli a favore della relazione fra CCSVI e sclerosi multipla. Zivadinov annuncia nel 2010 uno studio in doppio cieco su un numero sufficiente di pazienti, che avrebbe dovuto chiarire maggiormente la questione. Ebbene, il 13 aprile 2011 vengono pubblicati su Neurology i risultati della ricerca, condotta su 499 soggetti (289 casi e 210 controlli): inaspettatamente, la percentuale di CCSVI nei malati di sclerosi multipla scende dal 100% di Zamboni al 56,1% e sale nei sani dallo 0% al 25,5%. In pratica 1 sano su 4 ha la CCSVI. Di fronte a questi dati lo stesso Zivadinov è costretto ad ammettere che “i dati trovati vanno contro l’idea che la CCSVI possa avere un ruolo primario nello sviluppo della sclerosi multipla”.

Tutto finito? Manco per idea. La linea che i sostenitori di Zamboni a questo punto seguono è quella di negare che si sia mai parlato di causa. Zamboni stesso è tutt’oggi molto cauto nel definire la possibile relazione fra CCSVI e SM. Un vero e proprio dietro-front non solo di Zamboni, ma di tutti gli attori che ruotano attorno al mondo della CCSVI. Un dietro-front frettoloso che, a maggior ragione, non fa altro che alimentare i dubbi sulla reale validità scientifica della tesi di Zamboni.

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