SALUTE

Staminali, immunità e sclerosi multipla

SALUTE – Per malattie complesse e sfuggenti come la sclerosi multipla, si sa, è difficile – per non dire impossibile – trovare d’un botto la soluzione miracolosa, il magic bullet che risolve tutto. Quello che si può fare è continuare imperterriti con la ricerca, accumulando un passo alla volta conoscenze utili per cercare di mettere a punto nuove terapie, che magari non saranno LA CURA definitiva, ma armi in più nell’arsenale del medico e a fianco dei pazienti. Va in questa direzione il lavoro sulle cellule staminali mesenchimali, staminali adulte presenti in differenti tessuti (midollo osseo, sangue del cordone ombelicale, grasso ecc.) e capaci di differenziarsi in vari tipi di cellule, portato avanti da alcuni anni da un gruppo di ricerca guidato dal neurologo Antonio Uccelli, dell’Università di Genova. Uccelli e colleghi hanno appena pubblicato su Pnas uno studio che conferma, per la prima volta in vivo su un modello animale, il ruolo di queste cellule nella modulazione dell’attività del sistema immunitario, illustrando in dettaglio i meccanismi di questa interazione. Il risultato rappresenta un ulteriore sostegno teorico per una sperimentazione internazionale sull’impiego di staminali mesenchimali nella sclerosi multipla che partirà nel 2012, proprio sotto la supervisione di Uccelli .

In genere, pensiamo alle staminali come a cellule che possono essere impiegate in terapia per la ricostruzione di tessuti danneggiati. Anche nel caso delle staminali mesenchimali è così: «Esistono diversi studi clinici già in corso sull’impiego di queste cellule per la ricostruzione di tessuto osseo, perso per esempio in seguito a un trauma o a un tumore», afferma Paolo Bianco, ordinario di anatomia patologica all’Università di Roma Sapienza e tra i massimi esperti italiani di staminali. «L’interesse per le mesenchimali, però, non si ferma qui», precisa l’esperto: «Da alcuni anni abbiamo cominciato a capire che queste cellule funzionano anche come modulatori del sistema immunitario».

Il merito del lavoro di Uccelli e colleghi sta proprio nell’aver aggiunto un importante tassello alla comprensione di questo meccanismo di modulazione. «In gioco ci sono due tipi di cellule immunitarie: le cellule dendritiche e i linfociti T», spiega il neurologo. «Le prime hanno il compito, tra gli altri, di far maturare i linfociti T, i quali poi mettono in atto le risposte immunitarie vere e proprie, come l’attacco a sostanze e microrganismi estranei. La maturazione avviene a livello dei linfonodi». I ricercatori sono andati a vedere che cosa accade ai meccanismi immunitari di un animale (nella fattispecie il topo) quando gli vengono iniettate delle staminali mesenchimali. «Abbiamo scoperto che nei topi queste cellule bloccano il trasferimento delle cellule dendritiche nei linfonodi, impedendo di conseguenza la maturazione dei linfociti», racconta Uccelli. «Inoltre, abbiamo osservato che questo meccanismo è pressoche immediato e si compie nel giro di pochi secondi dall’iniezione».

Ovvio che in condizioni normali questo non sarebbe un bene, anzi. Per condizioni in cui occorre tenere a freno l’infiammazione e il sistema immunitario, per esempio le malattie autoimmuni, può invece costituire un’opzione terapeutica da indagare. «I risultati più convincenti finora sono stati ottenuti nella malattia del trapianto contro-ospite, in cui le cellule immunitarie del donatore attaccano chi riceve l’organo», ricorda Paolo Bianco. «Altri studi stanno indagando l’effetto delle staminali mesenchimali in patologie come  l’artrite reumatoide, la colite ulcerosa, il lupus eritematoso sistemico». O, appunto, la sclerosi multipla. Che, ricordiamolo, è una malattia autoimmune in cui il rivestimento delle cellule del sistema nervoso centrale viene attaccato e distrutto da cellule immunitarie dell’organismo.

«I dati raccolti finora per tutte queste condizioni ci dicono che le staminali mesenchimali esercitano una doppia funzione: immunomodulante e antinfiammatoria da una parte e di protezione del tessuto colpito, per esempio quello nervoso nel caso della sclerosi multipla, dall’altra», precisa Uccelli. In particolare, sembra che le staminali mesenchimali proteggano da fenomeni di morte cellulare e promuovano il rilascio di sostanze nutritive e il reclutamento di cellule staminali specifiche per il tessuto in questione. «Ovviamente parliamo del tessuto sano: per quello già distrutto c’è poco da fare».

In ogni caso si tratta di una serie di indizi che fanno ben sperare, alla vigilia della partenza di uno studio clinico internazionale sull’impiego di staminali mesenchimali nella sclerosi multipla che coinvolgerà 10 centri in Europa e due in Nord America e sarà finanziato anche dall’Associazione italiana sclerosi multipla. «Saranno coinvolti 150 pazienti in tutto il mondo, resistenti alle terapie oggi disponibili, suddivisi in due gruppi», illustra Uccelli. «Nei primi sei mesi metà dei partecipanti riceverà un’infusione di staminali mesenchimali e l’altra metà un’infusione “finta”, del solo terreno di coltura delle cellule. Nei restanti sei mesi si invertiranno le parti. In questo modo tutti saranno trattati, ma disporremo comunque sempre di un controllo non trattato».

L’obiettivo finale è valuare se la terapia a base di cellule staminali mesenchimali può essere d’aiuto nel combattere la malattia. Uccelli, però, insiste su un punto: «Non ci aspettiamo miracoli: semplicemente, un’opzione in più per pazienti che non rispondono ad altri trattamenti». Per questo il neurologo consiglia vivamente di diffidare da chi promette risultati eclatanti, come fanno alcune cliniche all’estero, che offrono già terapie a base di staminali mesenchimali.

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance