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Casa dolce casa

Questo post fa parte del V° Carnevale della biodiversità, il cui argomento è “Nicchie estreme”. Il Carnevale èospitato da Andrea Cau, sul suo blog Theropoda, dove potete trovare anche tutti gli altri blog della “manifestazione”. 

Estremo è, come molto del nostro vocabolario, un termine intrinsecamente antropocentrico, e non fa eccezione quando è usato in biologia. Manca infatti una rigida definizione quantitativa dei parametri che fanno di un ambiente, un ambiente estremo: in generale ci raccontiamo che siamo di fronte a una nicchia estrema quando è troppo fredda/calda, arida, acida/basica, povera di nutrienti ecc…per sostenere la maggior parte delle forme viventi che noi conosciamo.

Una definizione che evoca all’istante abissi, laghi salati, paesaggi luciferini creati dal vulcanesimo, e poco dopo sabbie marziane e crateri lunari, ma in realtà una nicchia estrema potrebbe trovarsi a pochi passi da voi.

Le moderne norme igieniche sono la prima, formidabile barriera che usiamo per difenderci dai patogeni, e spesso per raggiungere lo standard non facciamo altro che rendere “estremi” certi ambienti.

Su Oggi Scienza ne abbiamo già parlato: dei ricercatori hanno scoperto che nelle lavastoviglie possono prosperare alcune specie di fungo. Vivere in una lavastoviglie significa doversi confrontare con violenti shock termici e prodotti chimici corrosivi: anche questo è un ambiente estremo, e quando le spore di questi funghi, molto comuni, riescono a raggiungere una lavastoviglie, trovano una nicchia priva di competitori e con cibo in abbondanza. I funghi identificati, inoltre, sono potenzialmente patogeni, anche se non esistono ancora prove che riescano a diventare infettivi attraverso un normale utilizzo dell’elettrodomestico.

Dal punto di vista della salute, ciò con cui dobbiamo da subito fare i conti è la nicchia estrema che ci riguarda più da vicino: noi stessi. Gli antibiotici hanno cambiato il pianeta, malattie prima senza cura oggi sono banali, ma non sempre. Gli organismi hanno la brutta abitudine di evolvere (per la recente argomentazione creazionista riassumibile con “la capacità di resistenza agli antibiotici è antica = Adamo ed Eva” raccomandiamo questo post su Leucophaea) e i parassiti lo fanno spesso più rapidamente di altri. Un uso non oculato di questa formidabile conquista della medicina è in grado di ritorcersi contro di noi selezionando forme virulente contro cui le nostre contromisure sono inefficaci. Se foste un parassita, non avreste vita facile in un ospedale, dove l’igiene è ben oltre gli standard, avete più probabilità di vedervi spazzati via da un antibiotico e dove l’impianto di areazione ha speciali filtri proprio per impedire che passiate da un reparto all’altro, ma questa continua selezione non può che portare la vostra specie, prima o poi ad aggirare gran parte di queste barriere sviluppando un ceppo resistente.

Questi estremofili sui generis si chiamano si dicono appunto “ceppi ospedalieri“.

Esistono anche ambienti estremi che l’uomo crea con la consapevolezza di fare il nido a particolari microrganismi: aprite il frigorifero, e se vedete gorgonzola, yogurt e bevande alcoliche è chiaro a cosa ci si riferisce. Questi batteri, lieviti e muffe che ci prestano gli enzimi necessari alla fermentazione o che aromatizzano i nostri formaggi, non sono certo rari, né in natura usano colonizzare ambienti estremi, ma di fatto l’uomo fornisce loro una nicchia difficilmente contaminabile dalla maggior parte dei colleghi.

L’alcol, ad esempio, è un disinfettante efficace contro molti batteri e altri microorganismi. Il formaggio gorgonzola, per prendere uno dei tanti prodotti che utilizzano i funghi nel processo di produzione, è accuratamente preparato per accogliere le spore di Penicillium glaucum e Penicillium roqueforti (anch’essi, come indica il nome, con proprietà antibiotiche), e durante la stagionatura la forma viene forata, aumentando sia la superficie colonizzabile dalla muffa, sia areando il microambiente. Inoltre, come in molti altri formaggi, la muffa per attecchire bene necessita che il suo futuro territorio sia preparato dall’azione di due importantissimi batteri dell’industria casearia, Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus termophilus, entrambi in grado di resistere fino a temperature di oltre 60 °C.

Parlando di alte temperature, dobbiamo a un estremofilo anche la serie televisiva C.S.I. che dal 2001 entra nelle nostre case. La PCR è il processo grazie al quale possiamo amplificare a basso costo anche piccole quantità di DNA. Quando nel 1978 fu identificato in Thermophilus acquaticus un enzima resistente ad alte temperature in grado di innescare la polimerasi del DNA, non ci volle molto perché Kary Mullis, poi premio Nobel, intuisse che questo poteva essere la chiave per un enorme salto di qualità nell’efficienza del processo di amplificazione. L’enzima infatti, non denaturandosi ad alte temperature (anche oltre 90 °C) resisteva a ogni ciclo di amplificazione, che comincia appunto portando il DNA a una temperatura tale da ottenere la separazione dei due filamenti. Ora la Taq polimerasi è prodotta in massa ed è usata quotidianamente nei laboratori di tutto il mondo, compresi quelli di medicina forense.

E fuori dal mondo? Si è visto che in compagnia degli astronauti gli estremofili sembrano cavarsela a meraviglia, e a parte le scontate speculazioni astrobiologiche, se davvero un giorno saremo in grado di colonizzare altri pianeti molti pensano che non potremo fare a meno che gli estremofili ci preparino il terreno. Sulla Stazione Spaziale Internazionale a questo proposito è in corso il progetto tutto italiano BIOKIS, composto da sette esperimenti che mirano a comprendere utilizzabilità di alcuni organismi (già noti per essere particolarmente duri a morire) nel contesto dell’esplorazione spaziale. Tra questi i tardigradi, microscopici animali identificati per la prima volta da Lazzaro Spallanzani. Se foste contrari al loro utilizzo in queste ricerche, questo è il gruppo facebook che fa per voi, creato in risposta a un articolo della Custode.

Con obiettivi simili il progetto LIFE (Living Interplanetary Flight Experiment) che cerca di testare l’ipotesi della transpermia, ovvero che i microorganismi possano spostarsi da un pianeta all’altro trasportati trasportati da asteroidi.

In questo caso cinque organismi dovrebbero a breve partire a bordo della sonda Phobos-Grunt per un viaggio di tre anni fino a Phobos, una delle lune di Marte. Quanti di loro torneranno vivi? Le condizioni saranno ben più dure di un semplice viaggio sullo Shuttle: i cinque saranno senza alcuna protezione dalle radiazioni cosmiche che a basse orbite sono schermate dal campo magnetico terrestre.

Un passeggero obbligato di questo viaggio è quasi scontato: Deinococcus radiodurans. D. radiodurans è praticamente indistruttibile e lo ha dimostrato ben prima dell’era spaziale attirando l’attenzione degli scienziati che stavano cercando di sterilizzare con le radiazioni la carne in scatola. Niente sembra scalfire Conan the bacterium, come spesso è soprannominato: se per caso Phobos-Grunt dovesse schiantarsi su Marte, forse i primi colonizzatori umani dovrebbero cominciare a preoccuparsi di atterrare su una “nicchia estrema” di dimensioni planetarie già colonizzata senza controllo, perché un semplice disinfettante potrebbe non bastare…

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Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, mi sono formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrivo abitualmente sull’Aula di Scienze Zanichelli, Wired.it, OggiScienza e collaboro con Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione. Ho scritto col pilota di rover marziani Paolo Bellutta il libro di divulgazione "Autisti marziani" (Zanichelli, 2014). Su twitter sono @Radioprozac