CRONACA

L’elisir di lunga vita

CRONACA – Il piccolo C.elegans è di nuovo sotto ai riflettori, questa volta per un nuovo studio sulla longevità. Grazie al vermiciattolo per la prima volta è stato possibile vedere che la longevità si trasmette ai discendenti anche secondo meccanismi non genetici. Una sorta di “memoria della longevità” che li porta a vivere il 30% in più dei loro simili. Come se noi invece di vivere fino a 70 anni, arrivassimo oltre ai 90!

La causa va ricercata nell’epigenetica. Ognuno di noi eredita la sequenza del DNA dai genitori, ma nel corso della vita ci possono essere modificazioni chimiche (non mutazioni) a carico delle basi del DNA che hanno un effetto sull’espressione dei geni, sulla loro accensione o spegnimento. E queste modificazioni sono in parte trasmissibili ai nostri discendenti. Per ben tre generazioni, secondo quanto riportato nella ricerca pubblicata questa settimana su Nature.

Il gruppo di Anne Brunet, del dipartimento di genetica della Stanford University ha studiato proprio il C.elegans per trovare una risposta ai meccanismi di trasmissione della longevità. In particolare si sono occupati del complesso regolatorio chiamato H3K4me3 (composto da ASH-2, WDR-5 e SET-2), responsabile dell’aggiunta di gruppi metili all’istone H3. Nel nucleo delle cellule il DNA si trova infatti avvolto agli istoni per formare quella che viene chiamata cromatina. La modificazione causata dall’H3K4me3, rende la cromatina accessibile ai fattori di trascrizione e quindi rende possibile l’espressione di specifici geni presenti nella regione. I ricercatori l’anno scorso avevano provato a “spegnere” l’attività delle singole componenti del complesso, osservando che la durata della vita dei vermi in laboratorio si allunga quando ciascuna parte di questo complesso non agisce. E oggi fanno un ulteriore passo avanti dimostrando che questa caratteristica viene trasmessa fino alla terza generazione. Nei discendenti dei C.elegans le tre componenti chiave del complesso non sono spente, ma gli effetti sulla longevità restano invariate. Solo alla quarta generazione si ritorna ai normali livelli di sopravvivenza.

Come ha spiegato la stessa Brunet nel comunicato stampa:

“We still don’t know the exact mechanism of this epigenetic memory of longevity between generations. We hypothesize that when the parental generation is missing key components that normally regulate chromatin, epigenetic marks are not completely reset from one generation to the next in the germ line, thereby inducing heritable changes in gene expression. It will be very interesting to understand how this happens. We are also curious as to whether environmental factors that can affect longevity, like calorie restriction, could also affect subsequent generations”.

Resta da scoprire se oltre all’allungamento della vita, i vermetti mostrano un ritardo della comparsa dei segni tipici dell’invecchiamanto e prima di concludere che questo stesso meccanismo sia implicato anche nel determinare la longevità degli esseri umani, il gruppo di Stanford sta cercando di riprodurre gli stessi risultati in altre specie animali, come topi e pesci. Se questo venisse confermato ci resterebbe da capire come (e se) è possibile agire per modificare i tratti epigenetici del DNA a nostro favore.

Condividi su