CRONACA

Più in forma più a lungo, senza le cellule anti-tumore?

SALUTE – La vita, si sa, è spesso questione di compromessi, e non solo nei rapporti familiari o di lavoro. Anzi, i compromessi iniziano proprio dalla biologia e così può accadere che un tipo particolare di cellule – o meglio cellule che si trovano in una particolare condizione, adatta a ostacolare i tumori – si rivelino responsabili di alcuni fastidiosi fenomeni legati all’invecchiamento, come la perdita di tessuto muscolare e di tessuto grasso o la comparsa di cataratta. Le cellule in questione sono chiamate senescenti e a indicare un loro ruolo nel processo di invecchiamento è uno studio – svolto sui topolini, meglio dichiararlo subito – appena pubblicato su “Nature” da ricercatori del Mayo Clinic College of Medicine e dell’Università di Groningen. Che sono anche riusciti a regalare ai loro topolini qualche mese extra di giovinezza grazie a un ingegnoso sistema in grado di uccidere le cellule senescenti .

Partiamo dalla faccenda dei tumori. Dalla nascita in poi, il nostro DNA non fa altro che accumulare danni, provocati per esempio dall’esposizione a radiazioni o a sostanze chimiche. La maggior parte dei danni viene corretta, mentre in alcuni casi, quando le alterazioni sono troppe, le cellule decidono di entrare in uno stato particolare, chiamato di senescenza. In pratica non si dividono più, ma rimangono bloccate per evitare che il danno si diffonda e possa dare origine a un tumore. Il problema, però, è che queste cellule cominciano anche a secernere sostanze che danneggiano i tessuti circostanti e che, secondo alcuni ricercatori, sarebbero anche responsabili di quegli acciacchi dell’invecchiamento di cui parlavamo. Un’ipotesi che sembra finalmente trovare conferma nel lavoro di Darren Baker e colleghi.

Per prima cosa i ricercatori si sono concentrati su una proteina specifica delle cellule senescenti, e che ne diventa quindi una sorta di bandierina di riconoscimento. Poi hanno messo a punto un sofisticato meccanismo che permette a un farmaco citotossico (cioè in grado di uccidere le cellule) di legarsi a quella proteina e dunque di attaccare e uccidere solo e soltanto le cellule senescenti. Infine hanno testato il tutto su un ceppo di topolini affetti da invecchiamento precoce. In topolini ancora giovani hanno verificato un evidente ritardo nell’insorgenza di cataratta, indebolimento muscolare e perdita di massa grassa: se di solito i “sintomi” compaiono in questi animali intorno ai cinque mesi di età, negli individui trattati potevano farsi vedere anche intorno ai dieci mesi. Il trattamento è stato offerto anche a topi già anziani e malandati: anche in questo caso l’effetto è stato benefico, con un miglioramento delle condizioni.

Certo, una domanda a questo punto sorge spontanea: ma se la senescenza serve a tenere a freno i tumori, eliminare le cellule senescenti non sarà un danno peggiore del bene che si intende fare? Dubbio legittimo, per ora fugato dai risultati di Beker e colleghi. I loro topolini, infatti, non mostrano affatto un aumento dell’incidenza di tumori dopo essere stati sottoposti al farmaco “ringiovanente”.

Forse qualcuno si starà già immaginando un futuro da eterno splendido quarantenne. Spiace smorzare gli entusiasmi, ma la precisazione è d’obbligo: stiamo parlando di risultati ottenuti su un modello animale molto particolare, e cioè topi affetti da invecchiamento precoce. Bisognerà anzitutto verificarli anche su topi normali e poi passare agli esseri umani, dove non è affatto detto che le cose funzionino allo stesso modo. Anche ammesso che per questa volta l’equivalenza fisiologica topo-uomo sia perfetta, ci vorranno anni prima di vederla davvero confermata. E ancora: il sistema messo a punto dai ricercatori funziona per cellule senescenti che si trovano in particolari distretti dell’organismo e non per tutte: quelle che si trovano nel cuore e nel fegato, per esempio, rimangono vive e vegete e in effetti i topolini trattati mostravano classici disturbi d’invecchiamento legati a questi organi, come l’indurimento delle arterie. Per il momento, il grande merito dello studio è soprattutto quello di aver contribuito a chiarire meglio ruolo e funzioni delle cellule senescenti. L’elisir per una vecchiaia in gran forma è ancora piuttosto lontano.

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance