AMBIENTE

Avanti tutta

imageAMBIENTE – In autunno, oltre alle foglie cadono i rapporti sui consumi energetici e i relativi gas serra. Due fanno proiezioni pessimiste sul futuro del clima e uno proiezioni ottimiste sui profitti dei petrolieri. La correlazione è puramente temporale, sono usciti tutti e tre la scorsa settimana.

Il  Centro per l’analisi delle informazioni sulla CO2 (CDIAC), del governo statunitense, ha pubblicato le stime del 2009 e 2010. L’anno scorso abbiamo battuto ogni record, immettendo 9,137 miliardi di tonnellate di “carbonio ossidato” immesso in atmosfera (oltre 33 miliardi di tonnellate di CO2). Mezzo miliardo di tonnellate in più rispetto al 2009. L’aumento di 6% è dovuto per un 3% a quello dei consumi cinesi, per un 1,5% a quelli statunitensi e circa 1% a quelli indiani.  Ci sarebbe una buona notizia: i paesi firmatari del protocollo di Kyoto, come quelli dell’Unione Europea, hanno ridotto le proprie emissioni dell’8% rispetto ai livelli del 1990. Sennonché la maggior parte  ha subappaltato le emissioni a Cina da cui importano merci energivore, come si vede in questa ricerca sui “flussi globali del carbonio.

See Any Trends?

Di questo passo, limitare a 450 ppm la concentrazione di CO2 atmosferica e l’aumento della temperatura globale a 2° C diventa difficile, secondo il World Energy Outlook 2011 dell’International Agency Energy.  Data la “contrazione” del nucleare post-Fukushima, le proiezioni dei consumi di combustibili fossili fino al 2025 e relative emissioni di CO2 tendono nettamente ad aumentare. L’80% del carbonio che porta a 450 ppm di CO2 atmosferica entro il 2035 è già “ingabbiato” nell’attuale sistema di produzione dell’energia; il 100% lo sarà nel 2017. Senza tagli drastici entro quella data, la temperatura supererà ampiamente i 2°c previsti per la fine del secolo. Cambiare il sistema converrebbe:

Per ogni dollaro che il settore energetico non investirà in tecnologie più pulite entro il 2020, occorrerà poi spendere 4,30 dollari per compensare l’aumento delle emissioni.

Per incentivare le energie, i rimedi sono la fine dei sussidi, il rientro delle esternalità, il libero mercato sul serio insomma. Il Cartello dei paesi produttori di petrolio (OPEC) non è d’accordo. Il World Oil Outlook 2011 prende nota delle sovvenzioni statali dirette e indirette per l’estrazione del “presal” in Brasile, le trivellazioni in Oceano artico e le sabbie bituminose in Canada. Le prospettive, più favorevoli dopo Fukushima, lo diventerebbero meno nel caso di un accordo mondiale per ridurre le emissioni di CO2. Finora s’è evitato, Mammone sia lodato, e si farò di tutto per impedirlo poiché

Sebbene ci sia incertezza sulla fondamentale relazione tra concentrazioni di gas serra e aumenti della temperatura, è chiaro che misure di mitigazione potrebbero portare a notevoli riduzioni della domanda di petrolio.

L’Opec è preoccupato dall’inquinamento dell’acqua, i locali protestano quando diventa imbevibile, tocca pulirla a un costo troppo oneroso. In particolare nel caso le sabbie bituminose che ne consumano una quantità pazzesca (pane dei paesi arabi reso per focaccia del bitume “etico” canadese?). È anche preoccupato dalla carenza di personale qualificato per trattenere il quale l’industria deve rendersi “più attraente”. Come nel delta del Niger, si presume.

Con il barile a 150 dollari e meglio ancora a 180-200, più i sussidi attuali, gli investimenti di cui sopra non solo procureranno ottimi profitti ma “allevieranno la povertà ergetica del terzo mondo” . Per l’altra povertà, l’Opec fa già la sua parte: nel periodo 1973-2010 ha elargito ai paesi poveri 350 miliardi di dollari.

Non saremo noi a dire che servono 9 miliardi e rotti all’anno per ungere Putin, Obiang Nguema Mbasogo e compagni di tangente, a queste cose ci pensa Transparency International.

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