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Le rotte dell’ecomafia

AMBIENTE – Le sostanze pericolose e non riciclabili? In Africa. Plastica, carta, metalli, legno, Raee? Via verso l’Estremo Oriente. Auto rottamate e varie tipologie di sostanza tossiche? Nei Paesi dell’Est e nel Centro Europa. Sono queste le vie preferenziali per lo smaltimento illegale dei rifiuti secondo l’ultimo rapporto di Legambiente-Polieco sull’ecomafia globale. Solo in Italia nel 2010 sono state sequestrate 11.400 tonnellate di rifiuti diretti prevalentemente in Cina, India e Africa in partenza dai porti di Trieste, Venezia, La Spezia, Taranto, Napoli e Palermo. Si tratta per lo più di rifiuti di carta e cartone (37%), materie plastiche (19%), gomma (16%) e metalli (14%).  Circa il 90% delle spedizioni di rifiuti di carta e cartone e di materie plastiche sequestrate era diretto in Cina, mentre il 70% delle spedizioni di gomma e pneumatici era in partenza verso la Corea del Sud. I metalli erano invece destinati per il 48% in Cina e per il 31% in India. Le parti di veicoli, infine, erano dirette in Cina (34%), Egitto (15%) e Marocco (12%).

Secondo i dati riportati dell’Agenzia delle Dogane, negli ultimi tre anni c’è stato un incremento delle tonnellate sequestrate che sono passate da 4.000 a oltre 11.000 e il trend sembra essere confermato anche per il 2011, in cui si prevede il sequestro di almeno 10.000 tonnellate. La lotta alle ecomafie sembra dare i primi frutti. Dal 2001, anno dell’entrata in vigore  del reato di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti,  ci sono state ben 31 inchieste relative a traffici internazionali di rifiuti in partenza dall’Italia che hanno portato a 156 arresti, 509 denunce e 124 aziende sottoposte a provvedimenti giudiziari, con il coinvolgimento di 22 Paesi, dalla Germania alla Cina, dalla Russia al Senegal.

Rispetto al passato, però, le attività legate allo smaltimento illegale sono cambiate. I trafficanti internazionali di rifiuti non esportano oltre confine solamente scorie tossiche non riutilizzabili come melme acide, scorie chimiche o radioattive, ma soprattutto materiali da riutilizzare, violando sia le leggi, sia le regole del libero mercato, sfruttando a proprio vantaggio le potenzialità economiche degli scarti e scaricando i costi sulla collettività. Stando alle ultime stime della Guardia di Finanza per smaltire un container di 15 tonnellate di rifiuti pericolosi servono 60mila euro, seguendo la via illegale ne bastano solo 6 mila. Quindi un’impresa che si libera degli scarti di produzione rivolgendosi al mercato nero dello smaltimento può risparmiare fino al 90%, praticando una delle più odiose forme di concorrenza sleale nei confronti delle aziende che, invece, operano nella legalità.

Per aggirare la Convenzione di Basilea, che dal 1992 regolamenta i movimenti transfrontalieri di rifiuti tra paesi Ocse e non Ocse vietandone in linea generale l’esportazione, i trafficanti fanno ricorso alle triangolazioni tra Paesi e alla falsificazione dei documenti di accompagnamento dei carichi. Container carichi di rifiuti passano da un Paese a un altro con, in media, dai 5 ai 7 passaggi per carico.

Questa emorragia illegale di scarti destinati oltre confine rappresenta uno dei principali nemici della green economy, in particolare delle industrie del riciclo. I traffici illegali di rifiuti non solo mettono a rischio l’ambiente e la salute dei cittadini, ma anche l’economia legale.

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