CRONACA

LHC, oltre l’Higgs

CRONACA – Niente da dire: per LHC dicembre è stato il mese del bosone di Higgs e dei due esperimenti deputati a cercarlo, ATLAS e CMS. Dopo tanti rumors, il seminario al CERN del 13 dicembre scorso ha chiarito la situazione: per ora nessuna certezza, ma di sicuro c’è qualche indizio in più sulla “particella di Dio”.

Conferme – o smentite – sono attese per il 2012. Intanto, però, il lavoro continua: è di pochi giorni fa, per esempio, la notizia della scoperta sperimentale, sempre da parte di ATLAS, di una nuova particella, la prima identificata da LHC. Si tratta di un mesone, una particella chiamata Chi_b (3P) composta da un un tipo di quark (beauty) e dal suo antiquark, prevista dai modelli teorici ma finora mai osservata.

E naturalmente il lavoro continua anche per gli altri esperimenti di LHC, messi giustamente un po’ in ombra dalle notizie sul bosone, ma non meno importanti di ATLAS e CMS nella grandiosa impresa di capire meglio la natura della materia e la storia dell’Universo.In tutto ci sono altri cinque esperimenti – in poche parole, gli “occhi” attraverso cui i fisici si aspettano di “vedere” quello che stanno cercando, oppure qualcosa di completamente nuovo – e tre di questi, come già i due grandi cacciatori dell’Higgs, sono guidati da italiani: Paolo Giubellino per l’esperimento ALICE, Pierluigi Campana per LHCb e Simone Giani per TOTEM. Li abbiamo incontrati pochi giorni fa a Milano, nel corso di un evento organizzato dall’INFN per riunire tutti i capi italiani di LHC (qui una registrazione video dell’incontro), e ne abbiamo approfittato per fare il punto sull’attività di questi esperimenti.

ALICE
È una finestra aperta sulle primissime fasi dell’Universo, un esperimento fatto per studiare quella zuppa di particelle nucleari che si è formata nei primi milionesimi di secondo dopo il Big Bang, nella quale hanno cominciato a formarsi altre particelle e atomi che hanno via via dato origine alle strutture a grande scala dell’Universo. “Sappiamo che i protoni e i neutroni all’interno dei nuclei e i quark all’interno di queste particelle sono tenuti insieme da interazioni forti, dalle quali deriva di fatto la massa di tutto ciò che ci circonda”, spiega Giubellino. “Alcuni aspetti di queste interazioni, però, sono ancora misteriose: per esempio, il fatto che i quark sono praticamente impossibili da separare, perché la forza che tiene insieme due quark cresce all’aumentare della distanza”.

Ecco allora che entrano in gioco LHC e ALICE. “Prendiamo nuclei molto grossi, come quelli di piombo, che contengono molti quark, li acceleriamo e li facciamo collidere”, racconta il portavoce dell’esperimento. “Quando due nuclei si scontrano, si forma una bollicina di spazio estremamente densa e calda, 100.000 volte più calda del centro del Sole, in cui protoni e neutroni si compenetrano dando origine a una “zuppa” di quark e gluoni che si possono muovere liberamente”. In pratica, è una condizione analoga a quella che c’era nei primi milionesimi di secondo della storia dell’Universo. Poco a poco, però, il sistema si raffredda, ricostituendo le particelle ordinarie che conosciamo oggi, come accaduto a partire da 10 milionesimi di secondo dopo il Big bang. “Quello che speriamo di scoprire con ALICE è se si è formato davvero un sistema di questo genere – e i primi dati del 2011 ci dicono che sì, si è formato – e che caratteristiche ha. Per ora, abbiamo osservato che si tratta del più ideale dei fluidi mai osservati, a bassissima viscosità”.

LHCb
Pochi attimi dopo il Big bang, materia e antimateria si trovavano in condizioni di perfetta simmetria: tanto dell’una, altrettanto dell’altra. Oggi, invece, la condizione è del tutto asimmetrica, con prevalenza della materia sull’antimateria. LHCb va proprio alla ricerca dell’origine di questa asimmetria. “In realtà esiste già una spiegazione teorica del fenomeno, che va sotto il nome di violazione di CP, ma non basta a dare ragione di quanto è grande questa asimmetria”, spiega Pierluigi Campana. “Per questo cerchiamo nuovi stati della materia – la cosiddetta “nuova fisica” – che si possano aggiungere al Modello standard, la teoria che oggi descrive tutte le particelle che compongono il nostro Universo, per spiegare questa asimmetria”.

In particolare, i ricercatori di LHCb si concentrano sui decadimenti e le trasformazioni di due particolari tipi di quark, quark b e quark c, generati sempre dalla collisione di protoni nell’acceleratore. “La teoria descrive molto bene i decadimenti di questi quark: noi ne studiamo attentamente il comportamento, per vedere se succede qualcosa che non si accorda con le previsioni della teoria”, precisa il capo dell’esperimento.

E in effetti qualche anomalia sembra esserci davvero. Non tanto per i quark b, che finora si sono comportati esattamente come previsto, ma per i quark c. “Si è sempre pensato che questo quark fosse immune alla violazione di CP. Invece, abbastanza misteriosamente i nostri dati suggeriscono che anche questo quark manifesta proprio questa violazione”. Un risultato tutto da verificare nel 2012: “Ma se fosse confermato, si tratterebbe del primo risultato anomalo di LHC”, dice Campana. “Trovare il bosone di Higgs, in fin dei conti, non sarebbe una gran sorpresa, perché secondo la teoria ce lo aspettiamo. Questo insolito comportamento dei quark c, invece, va proprio al di là del Modello standard”.

TOTEM
Compito principale di TOTEM è studiare l’interazione e la struttura dei protoni. Per farlo, si serve sia di rivelatori posti intorno al punto di collisione, sia di rivelatori posti a 220 metri da esso. Spiega Simone Giani: “In alcune interazioni, invece che rompersi generando altre particelle, i protoni sopravvivono e continuano la loro corsa, deviati di un angolo piccolissimo: i rivelatori a distanza servono proprio per studiare questi protoni”.

Nel 2011, TOTEM ha prodotto due risultati importanti. Il primo: la sezione d’urto totale a LHC. In parole povere, la probabilità totale di urto dei protoni del fascio che corre nell’acceleratore. “La maggior parte dei protoni focalizzati nel punto di collisione in realtà non interagisce: ciascuno prosegue per la sua strada. Capire, come abbiamo fatto, qual è la probabilità totale di urto dei protoni che vengono fatti collidere serve come normalizzazione per tutti gli altri studi”. Il secondo risultato ha riguardato la sezione d’urto differenziale dello scattering elastico. Cioè: la probabilità di osservare a distanza quei protoni che non si rompono nell’urto, ma vengono deviati.

Possono sembrare informazioni aride, di utilità esclusivamente tecnica, ma non è affatto così: servono anche a capire meglio la struttura interna dei protoni. “Se immaginiamo i protoni come sfere rigide e osserviamo che maggiore è la velocità e dunque l’energia con cui vengono sparati, maggiore è la loro probabilità di interagire, non possiamo che concludere che all’aumentare dell’energia è come se diventassero più grandi”, racconta Giani. “In realtà, però, i protoni non sono sfere rigide. Sono piuttosto come galassie contenenti oggetti più piccoli (quark e gluoni) che si muovno all’impazzata. Quando ne sparo due uno contro l’altro, di fatto aumento l’eccitazione di tutte queste particelle e mi ritrovo con due galassie che si compenetrano, dove l’elemento importante non è la grandezza, ma la densità, il movimento interno”. In TOTEM dunque si fanno misure per valutare la probabilità di collisione al variare dell’energia e in base ai risultati ottenuti si può capire la dinamica interna del protone: quanto i suoi “oggetti” interni si muovono, si ammassano e così via. Il che ci dice molto su come, in fondo, i protoni sono fatti.

Immagine di thomaswanhoff (CC)

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance