CRONACA

Luisa Torsi, una chimica eccellente

CRONACA – Ci siamo appena lasciati alle spalle l’anno internazionale della chimica: Oggi Scienza dedica un’intervista a Luisa Torsi, professore di chimica dell’Università di Bari e vincitrice nel 2010 del Merck Prize per le scienze analitiche.

Un riconoscimento prestigioso mai assegnato a una donna né all’Italia…
“Il Merck Prize è un premio in “analitical science” istituito circa 20 anni fa dalla Merck, multinazionale nel campo chimico-farmaceutico, per celebrare il centenario dalla prima certificazione della purezza dei suoi prodotti. Io sono stata premiata per i miei studi sui sensori elettronici a base di semiconduttori organici. Lo sviluppo di nuovi sistemi per la rivelazione delle sostanze è uno degli aspetti piu’ importanti della chimica analitica, oltre a essere una disciplina scientifica con un approccio fortemente interdisciplinare che coinvolge chimici, fisici, scienziati dei materiali e biologi.

Di che cosa si occupano esattamente i chimici analitici?
“Caratterizzano e certificano la composizione delle strutture chimiche mettendo a punto metodiche innovative per l’analisi di materiali, interfacce e superfici: in particolare io sviluppo dispositivi che rivelano le sostanze chimiche e biologiche. In questo devo riconoscere l’importanza del mio background di fisica dello stato solido”.

Ripercorriamo dunque le sue tappe.
“Dopo la laurea all’Università di Bari in fisica nel 1989, cominciai un dottorato di ricerca in chimica analitica, lavorando sui polimeri conduttori recentemente scoperti. Quando mio marito, fisico, ottenne un contratto da postdoc ai Bell Laboratories negli Stati Uniti, feci domanda anch’io. Nel 1993 l’ingegnere elettronico Annath Dodabalapur stava costituendo un gruppo che si occupava proprio di dispositivi a base di polimeri conduttori o semiconduttori organici: fu molto apprezzata la mia formazione di chimico-fisica e fui assunta. Ho lavorato per due anni con un team interdisciplinare, fabbricando i primi transistori a film sottile organico veramente funzionanti. Poi sono tornata a Bari, dove ho vinto la cattedra di Professore Associato, e ho ricominciato con i transistor organici, questa volta però impiegati come sensori elettronici di gas e vapori. Oggi hanno preso piede in Europa e negli Stati Uniti, perché sono dispositivi particolarmente affidabili e performanti. Sono contenta che la comunità scientifica dopo i primi lavori pubblicati sull’argomento, mi riconosca il ruolo di pioniere”.

Pioniere dei sensori organici è poi passata a quelli biologici.
“Si tratta di dispositivi più sensibili e selettivi. Supponiamo di voler analizzare gli odori: alcoli, chetoni, … In generale l’interazione tra il sensore e la molecola target è abbastanza debole e quindi reversibile poiché l’analita, la sostanza che vogliamo analizzare, dopo un certo tempo desorbe. Invece l’interazione biologica è più forte perché un recettore si lega a un determinato analita in maniera esclusiva. Così, per il fatto che un antigene interagisce solo con l’anticorpo per il quale è stato sviluppato o ingegnerizzato, un sensore biologico è in grado di riconoscere molecole biologiche in maniera selettiva o addirittura specifica anche in matrici complesse come i fluidi biologici, per esempio il sangue”.

Oggi lei è anche coordinatore di FlexSmell, un progetto Marie Curie ITN (International Training Network).
“Lo spirito dell’ITN è quello di formare una nuova generazione di scienziati con competenze intersettoriali spendibili sul mercato del lavoro sia in ambito accademico che industriale.
In particolare in Flex Smell, cominciato due anni fa, l’innovazione sta nella messa a punto di un array di sensori implementabile negli imballaggi per alimenti, che ingloba nella stessa strip di carta un circuito sensibile agli odori e un circuito a radiofrequenza collegato a una memoria centrale. Questo permetterebbe di conoscere in tempo reale posizione e stato di conservazione del cibo. Il lavoro non è semplice, perché dobbiamo riuscire a realizzare un dispositivo in grado di riconoscere un pattern di sensazione, vale a dire di identificare gli odori come fosse il nostro naso, che è dotato di un sistema di recettori davvero complesso.
Il progetto sta dando buoni risultati, da un punto di vista scientifico e più in generale sotto il profilo formativo: una caratteristica da non sottovalutare riguarda il fatto che i dottorandi dell’ITN sono esposti a sollecitazioni e stimoli maggiori rispetto ai loro colleghi del Dipartimento, anche perché sono obbligati a interagire con tutti i partner del consorzio, industrie comprese”.

È impegnativo portare avanti questo progetto in una sede universitaria?
“Certamente, soprattutto considerando che è uno dei primi progetti europei coordinati dalla mia Università: oltre al dialogo costante con l’ateneo, ci sono problemi burocratici oggettivi. Per esempio ottenere il permesso di soggiorno per le persone assunte con i fondi del progetto, nel nostro caso un rumeno e un indiano (per regolamento i dottorandi assunti non devono aver vissuto in Italia nei tre anni precedenti), è stata un’impresa”.

Oltre a essere uno scienziato, lei lavora anche un po’ da manager: un ibrido professionale emergente e importante nello spazio europeo della ricerca?
“Questa domanda mi dà l’opportunità di parlare di una persona coinvolta in FlexSmell, Maria Cristina Tanese, esperta di management della ricerca, che ho assunto appositamente per la gestione del progetto: una figura con una formazione tecnica e allo stesso tempo competente da un punto di vista gestionale è a dir poco fondamentale. Ci sta aiutando moltissimo, me e tutto il consorzio”.

 

Immagine: Frank Trixler (CC)

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