SALUTE

Cancro alla tiroide, Chernobyl scagionato per insufficienza di prove

SALUTE – Negli ultimi trent’anni il tumore alla tiroide è rapidamente aumentando in molti Paesi industrializzati e tra il 1991 e il 2005 è quello che ha fatto registrare il maggior incremento di nuovi casi diagnosticati. In Italia il dato è particolarmente rilevante perché c’è stato quasi un raddoppio in soli quindici anni.

Quando si dice così, la prima parola che viene in mente è Chernobyl. Si sa, infatti, che tra i principali fattori di rischio per il tumore alla tiroide, oltre all’obesità e alla carenza di iodio, c’è l’esposizione alle radiazioni ionizzanti. L’Onu, nel rapporto dello Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation, ha stimato che solo nelle zone limitrofe al disastro e fino al 2005 oltre 6.000 bambini si sono ammalati di tumore alla tiroide a causa del fallout radioattivo. Questi sono dati di fatto. Dati che ci farebbero supporre anche che la diffusione vertiginosa di questa tipologia di cancro in Italia sia correlata all’esposizione al cesio 137 dovuta all’incidente. Giusto? No proprio. Un’indagine condotta in tutta Italia dai ricercatori del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano sulla base dei dati dell’Associazione Italiana Registri Tumori non ha trovato infatti collegamenti fra il post-Chernobyl e l’aumento registrato nel nostro Paese.

Tanto per fare chiarezza, di tumori maligni alla tiroide ne esistono di quattro tipi: follicolari, midollari e anaplastici, che sono a diagnosi più severa ma anche i più rari, e papillari, che sono a bassa mortalità, ma costituiscono l’80% dei tumori tiroidei. Nello studio, appena pubblicato sulla rivista Thyroid, i ventotto autori, coordinati da Luigino Dal Maso, epidemiologo di Aviano, hanno analizzato le variazioni temporali e geografiche di questi tumori registrate tra il 1991 e il 2005. Le mappe di riferimento italiane regione per regione hanno mostrato che l’incidenza (cioè il numero di nuovi casi) è incredibilmente eterogenea, tanto che la differenza tra una zona e un’altra arriva anche a cinque volte. Citando qualche numero estrapolato dallo studio per il periodo più recente: nelle donne il tasso di incidenza va dal 7,3/100.000 dell’Alto Adige al 37,5/100.000 della sola Ferrara. Negli uomini, i numeri sono più bassi, ma l’andamento è simile: i tassi sono di 2/100.000 in Trentino Alto Adige e 10,6/100.000 a Ferrara.

“Per questa tipologia di tumore la radiazione ionizzante,” spiega Luigino Dal Maso,” è considerata uno dei principali fattori di rischio, soprattutto se l’esposizione avviene nell’infanzia. Siccome l’incidente di Chernobyl ha sempre destato molta preoccupazione, la prima cosa che abbiamo voluto fare è vedere dove c’è stata maggior deposizione di materiale radioattivo in Italia, incrociando i dati con quelli dei Registri: le aree in cui la deposizione è più alta sono quelle dell’arco alpino e dell’Appennino. Osservando poi le mappe del rischio di tumore, abbiamo però visto che le stesse zone sono proprio quelle che hanno incidenze più basse. Questa osservazione ci permette di escludere un effetto rilevante dell’incidente di Chernobyl sulle differenze geografiche o sugli incrementi nel tempo del tumore alla tiroide. Lo stesso risultato è stato confermato anche da un articolo pubblicato su Nature nel 2011, dove si ricorda che l’incidente di Chernobyl ha provocato in Europa un’esposizione di circa 0,3 milliSievert, pari approssimativamente a un decimo dell’esposizione naturale a radiazioni ionizzanti. Quindi l’effetto delle deposizioni in Italia sull’aumento dei tumori alla tiroide può essere definito tranquillamente trascurabile”.

Un’informazione aggiuntiva a supporto di questi dati la si può ritrovare in un precedente studio di Dal Maso e collaboratori, pubblicato nel 2010 sugli Annals of Oncology: siccome l’impatto della radiazione dovrebbe essere maggiore in giovane età, ci si aspetterebbe che l’aumento dei casi registrati si concentrasse nelle fasce più giovani. Ma le analisi presentate nel paper chiariscono che l’aumento dei casi è avvenuto in tutte le classi di età, in particolare le centrali (con un picco nella fascia 45-49 anni nelle donne e 65-69 anni negli uomini), mentre è un po’ più basso in giovani e anziani.

Se non è Chernobyl, allora, si va per esclusione, si sono detti i ricercatori. E quindi hanno vagliato, con lo stesso sistema di sovrapposizione di mappe, gli altri fattori di rischio. Per quanto riguarda la carenza di iodio, sono le persone che vivono più lontane dal mare ad avere possibili carenze di questa sostanza, ma, stando ai dati dei registri, quelle popolazioni mostrano un minor tasso di tumore alla tiroide. Mentre i valori di Ferrara e del resto dell’Emilia Romagna, che sono vicine al mare, sono alle stelle. Per l’altro fattore di rischio, l’obesità, “è un fattore emerso recentemente in Italia,” precisa il ricercatore, “che è aumentato con il progressivo abbandono della dieta mediterranea e si presenta con un gradiente nord-sud. Nel senso che un numero maggiore di persone è in sovrappeso nelle regioni del sud. Se il sovrappeso fosse legato strettamente all’aumento del tumore, allora dalle mappe dovremmo vedere una correlazione che però non c’è”.

In buona sostanza nessuno tra i fattori di rischio noti per i tumori della tiroide è in grado di spiegare tale aumento. Così sembra che la risposta stia “banalmente” nell’attenzione data al problema, che risponde a una sensibilità diversa tra aree del Paese: “La spiegazione più probabile della gran parte dell’aumento – conclude Dal Maso – rimane l’intensificazione di indagini diagnostiche che in alcune aree si verificano più che in altre. E siccome i tumori papillari della tiroide raramente mettono a rischio la vita del paziente, le conclusioni dello studio che abbiamo effettuato suggeriscono di ripensare alle possibili conseguenze dei sovratrattamenti, soprattutto per quel che riguarda le giovani donne”. Solo in Italia, infatti, ogni anno le nuove diagnosi di tumore tiroideo interessano 4 uomini su 100mila abitanti, e ben 14 donne su 100mila.

Crediti immagine: cortesia di unscear.org

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Sara Stulle
Libera professionista dal 2000, sono scrittrice, copywriter, esperta di scrittura per i social media, content manager e giornalista. Seriamente. Progettista grafica, meno seriamente, e progettista di allestimenti per esposizioni, solo se un po' sopra le righe. Scrivo sempre. Scrivo di tutto. Amo la scrittura di mente aperta. Pratico il refuso come stile di vita (ma solo nel tempo libero). Oggi, insieme a mio marito, gestisco Sblab, il nostro strambo studio di comunicazione, progettazione architettonica e visual design. Vivo felicemente con Beppe, otto gatti, due cani, quattro tartarughe, due conigli e la gallina Moira.