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Gli OGM secondo Clini: due opinioni a confronto

JEKYLL – Un’apertura agli OGM, quella del ministro dell’Ambiente Corrado Clini, che ha fatto discutere. Sul piano politico, ma anche su quello tecnico e scientifico. Ma facciamo un passo indietro: il 14 marzo scorso il Corriere della sera ha pubblicato un’intervista nella quale il ministro auspicava un’inversione di tendenza nei confronti degli OGM: su questo tema, secondo Clini, l’Italia è troppo diffidente.

Al di là del dibattito politico e istituzionale, comunque, l’intervista di Clini ha presentato diversi riferimenti scientifici non sempre precisi. La sua apertura agli OGM, quindi, è supportata da argomentazioni tecniche corrette? Ne abbiamo parlato con Riccardo Bocci, agronomo e coordinatore della Rete Semi Rurali, e Piero Morandini, ricercatore in Fisiologia vegetale dell’Università di Milano e docente di Biotecnologie Industriali vegetali.

Un primo passaggio critico dell’intervista di Clini è il seguente:

«Senza l’ingegneria genetica oggi non avremmo alcuni fra i nostri prodotti più tipici. Il grano duro, il riso Carnaroli, il pomodoro San Marzano, il basilico ligure, la vite Nero D’Avola, la cipolla rossa di Tropea, il broccolo romanesco: sono stati ottenuti grazie agli incroci e con la mutagenesi sui semi».

Per Bocci “qui Clini ha preso un abbaglio. Non si tratta di ingegneria genetica in senso stretto, perché questi prodotti non sono stati ottenuti inserendo un gene nel DNA di una pianta in laboratorio. Incroci e mutagenesi – ovvero indurre cambiamenti nel genoma di una pianta esponendola a radiazioni per poi operare in un secondo momento una selezione sul fenotipo dei prodotti ottenuti – dei semi, afferma Bocci, non sono tecniche di ingegneria genetica tout-court”. Anche per Morandini “non si tratta di ingegneria genetica in senso stretto”, tuttavia l’imprecisione del ministro “è un peccato veniale di fronte alla credenza, propagandata da molti, che le piante transgeniche siano le sole piante a essere geneticamente modificate e che invece tutte le piante coltivate sviluppate con gli altri metodi come la mutagenesi siano naturali”.

L’intervista di Clini prosegue elencando una serie di benefici che gli OGM potrebbero portare non solo in campo alimentare, ma anche energetico:

«Un’altra area molto interessante per l’applicazione degli Ogm non competitivi con le produzioni agricole sono le coltivazioni di specie con alto potere energetico: biocarburanti di seconda generazione e la filiera chimica verde. Per non parlare delle applicazioni nei Paesi esteri […]: si possono applicare semi di Ogm per frutti o prodotti alimentari addittivati con vitamine o con vaccini».

Su questo passaggio Bocci e Morandini propongono una lettura molto diversa. Per Bocci, l’intervento di Clini “è dettato da una linea ideologica: sono dieci anni che si parla di questi presunti benefici, ma per esempio in campo agricolo non si è ottenuto molto. Creare piante con specifiche caratteristiche non dipende da un solo gene. Non abbiamo – prosegue Bocci – ancora un controllo così fine del genoma: dobbiamo fare tantissimi tentativi, ci sono tantissime variabili in gioco e la visione di Clini è molto semplicistica e si basa su un’idea di DNA vecchia di trent’anni, che non tiene conto della complessità del DNA e del fatto che abbiamo scoperto che ci sono anche effetti ambientali ereditari”. Morandini invece afferma che “di fatto le piante transgeniche hanno avuto grosse applicazioni e hanno dato sino ad ora grandi benefici dal punto di vista agronomico e ambientale”. Il biotecnologo concorda con Clini e ricorda che ci possono essere applicazioni agricole (“gli OGM diminuiscono l’uso di pesticidi”), mediche (“possono aiutare a elaborare farmaci e vaccini”) e anche energetiche. Per Morandini il problema non è scientifico, ma risiede piuttosto in una legislazione, quella italiana, “ingiustamente restrittiva, costosa e dannosa, perché non porta benefici reali ai consumatori e all’ambiente, mentre rende inutilmente tortuoso l’accesso ai molti benefici che tale tecnologia potrebbe apportare. Non dimentichiamo che per approvare in UE la patata Amflora sono stati necessari 14 anni”.

L’intervista di Clini si chiude con un riferimento a una particolare applicazione degli OGM:

«Ma possiamo parlare anche degli Ogm che verranno usati adesso in Giappone. […]
 Gli Ogm salveranno l’agricoltura della tragedia post tsunami. Ricercatori giapponesi e inglesi stanno lavorando a una pianta di riso in grado di resistere al sale e dunque che può essere coltivata nelle aree colpite dall’acqua dello tsunami dello scorso anno».

Su questo passaggio, Morandini e Bocci sostanzialmente concordano. Il primo afferma: “Non so su quali basi si fondi l’affermazioni di Clini, ma per quello che ne so è assai improbabile. Esistono molte nuove varietà in sviluppo, sia transgeniche che convenzionali, che cercano di rispondere al problema della salinità dei suoli, ma non è facile che varietà transgeniche riescano ad andare in coltivazione a breve per poter essere un aiuto efficace nelle zone colpite dallo tsunami”. Tempi lunghi, ribadisce Morandini, anche per via di legislazioni molto prudenti. Bocci è molto critico con l’affermazione di Clini: “Per produrre una varietà stabile occorrono circa dieci anni. Inoltre, l’affermazione del ministro non tiene conto del contesto socio-culturale: che qualità di riso ingegnerizzo? Una? Molte? È una visione ingenua”.

(crediti immagini: la foto di Corrado Clini presa dal sito del Ministero dell’Ambiente; la foto del campo di grano è di mastrobiggo, presa da Flickr)

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Enrico Bergianti
Giornalista pubblicista. Scrive di scienza, sport e serie televisive. Adora l'estate e la bicicletta.