CRONACA

Quando la legge si scontra con la scienza

CRONACA – Le cronache giudiziarie sono piene di sentenze che fanno discutere. Non sempre, in tribunale, si riesce ad approdare a una verità, al di là di ogni ragionevole dubbio. Tuttavia quando le evidenze ci sono, e sono inoppugnabili, certi verdetti risultano, francamente, scandalosi. Succede, per esempio, che un giudice del Tribunale di Rimini condanni il Ministero della Salute a pagare un indennizzo a un bimbo autistico, accogliendo l’istanza dei suoi genitori per cui cui sarebbe stato il vaccino MPR contro morbillo, parotite e rosolia a provocare la malattia. Ma è una bufala, questa storia che i vaccini potrebbero causare l’autismo, messa in circolazione ormai 14 anni fa dal gastroenterologo britannico Andrew Wakefield, in seguito accusato di frode e corruzione, e radiato dall’ordine dei medici per aver falsificato i dati dello studio, poi ritrattato dalla stessa rivista Lancet.

Innumerevoli ricerche indipendenti condotte in tutto il mondo, da lì in poi, non sono mai riuscite a trovare alcun legame tra i vaccini e l’insorgenza della malattia e, per quanto a lungo si possa dibattere, la verità è limpida come l’acqua: allo stato attuale delle conoscenze, manca ogni evidenza scientifica anche solo per sospettare un nesso di causa-effetto tra il siero trivalente e l’autismo. Eppure, il giudice di Rimini ha asserito esattamente il contrario. La comunità scientifica è insorta, esprimendo “forte sconcerto” per una sentenza allucinante e dichiarandosi pronta a fornire all’Avvocatura dello Stato la consulenza tecnica per il ricorso in appello.

Non è l’unico caso in cui scienza e giurisprudenza fanno a pugni. Recentemente, ha fatto molto discutere anche la sentenza con cui il tribunale di Bari legittimava un paziente a ottenere la somministrazione gratuita dalla Asl della “cura Di Bella”, il presunto metodo antitumorale che sollevò un polverone 10 anni fa (spacciato come miracoloso dal suo ideatore senza neanche una sperimentazione clinica) e su cui il verdetto della ricerca scientifica è netto: non funziona. Ed è capitato altre volte che i giudici si sbilanciassero su questioni ancora controverse, come l’uso del cellulare e il rischio di tumori o l’elettrosmog, anticipando conclusioni ancora da stabilire.

Non sono vicende prive di conseguenze, queste. Perché, se è vero che la scienza non si fa nelle corti di giustizia, è comunque innegabile che nell’opinione pubblica certi pronunciamenti possano lasciare il segno, generando per esempio una diffidenza immotivata nei confronti dei vaccini (i cui benefici in termini di prevenzione sono, e di gran lunga, superiori ai rischi di effetti collaterali) e un aumento dei focolai di morbillo (malattia con cui non si scherza poi tanto, può portare a meningite ed encefaliti con esiti irreversibili). O può succedere che le persone malate di cancro leggano sul giornale che quel tale ha vinto la causa per ricevere la cura Di Bella e s’illudano che forse è meglio prendere un bibitone di vitamine, anziché seguire le terapie validate come la chemioterapia.

Quel che uno si chiede è: com’è possibile? Cioè, come può la verità giudiziaria divergere in modo così smaccato dalla verità scientifica? Ne abbiamo parlato con Amedeo Santosuosso, presidente del Centro di ricerca interdipartimentale di diritto, scienza e nuove tecnologie (ECLT) dell’Università di Pavia e giudice presso la Corte d’Appello di Milano. “Il punto di partenza – premette Santosuosso – è che la logica del diritto, di tipo etico e normativo, è  diversa da quella propria della scienza, che è sperimentale. Tuttavia, pur nella differenza e autonomia dei campi d’indagine, è evidente che una sentenza non può arrivare a contraddire lo stato dell’arte delle conoscenze, com’è avvenuto per l’autismo e la cura di Bella”.

Entrambe le sentenze, a ben guardare, non entrano nel merito della controversia tra scienza e diritto, il loro compito è un altro: molto prosaicamente, stabilire chi paga di fronte alla legge. “Ieri come oggi, la polemica sul caso di Bella si riduce a questo: se il sistema sanitario nazionale debba farsi carico delle cure che il paziente reclama. Ma è come se dicessi di sentirmi meglio con ostriche e champagne, e pretendessi che ciò fosse a carico della solidarietà sociale attraverso lo Stato che paga per  queste spese”, osserva il giudice. “Così, nel caso dell’autismo, il principio giuridico è l’applicazione della legge sull’indennizzo: giacché la società raccomanda o impone la vaccinazione in nome del bene degli altri cittadini, è giusto che la società si prenda in carico i rischi. Ma è necessario che vi sia una correlazione”.

Il cortocircuito sta a monte, nelle perizie scientifiche che sono state presentate alla corte e su cui si basano i pronunciamenti. Non è una mera coincidenza che nella parte della difesa, in entrambi i casi, ci sia un soggetto pubblico, e non privato. “Teoricamente le consulenze tecniche dovrebbero fornire al giudice tutti gli elementi per deliberare, tuttavia quando la controparte è lo Stato non sempre vi è un efficiente contraddittorio scientifico”, dice l’esperto.

Se il giudice, insomma, ha sentito una sola campana, di medici “fuori dal coro” che hanno sposato la causa, ne ha tratto conclusioni viziate . “Detto ciò”, continua Santosuosso, “un giudice dovrebbe avere capacità di discernimento anche sulle questioni scientifiche. Per questo il Centro ECLT dell’Università di Pavia, in collaborazione con il Consiglio superiore della magistratura, promuove iniziative di alfabetizzazione scientifica per giuristi. Se ne sente molto bisogno. D’altronde, l’amara verità è che i giudici – conclude Santosuosso – condividono con la popolazione generale la scarsa cultura scientifica tipica dell’Italia”.

Crediti immagine: nxb

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