AMBIENTE

Tonno al cesio

AMBIENTE – Dopo le alghe allo iodio radioattivo, ora tonni pinna blu (Thunnuns orientalis) al cesio: effetti collaterali dell’incidente di Fukushima nel Marzo 2011.

La notizia, apparsa ieri su PNAS, potrebbe non stupirci del tutto, considerato lo sversamento massiccio di acqua radioattiva in mare avvenuta a seguito dell’incidente e tenuto conto che il tonno è un grande predatore che compie lunghe migrazioni attraverso l’Oceano Pacifico.

Il tonno pinna blu, infatti, si riproduce lungo la costa giapponese e uno-due anni più tardi i nuovi nati raggiungono la California e la baia del Messico. Proprio per questo cinque mesi dopo Fukushima i ricercatori americani hanno deciso di misurare i livelli di cesio 134 e 137 in quindici tonni di età inferiore a due anni pescati lungo la costa di San Diego. Di quei tonni – quindi – che hanno nuotato nel cesio tutta la loro vita.

I livelli identificati, seppure non pericolosi per la salute pubblica, sono risultati 10 volte superiori alla norma. Ciò ha sorpreso gli studiosi che non si aspettavano la persistenza del fallout giapponese in questi animali considerati in grado di metabolizzare e liberarsi delle sostanze radioattive durante la crescita.

I tonni catturati lo scorso anno, invece, erano privi di cesio 134 (ricordiamo che la sua emivita è di soli due anni) e presentavano livelli bassissimi di cesio 137 riconducibili, secondo i ricercatori, ai testi nucleari degli anni ‘60.

Per togliere il dubbio che la radiazione sia stata trasportata dalle correnti oceaniche o deposta in mare attraverso l’atmosfera, è stato anche misurato il livello di cesio nei tonni a pinna gialla, specie stanziale sulla costa occidentale americana. Risultato? Zero cesio in questa specie. Gli scienziati hanno inequivocabilmente dedotto che la sorgente di cesio nei tonni pinna blu fosse la centrale di Fukushima.

I piccoli tonni pinna blu, insomma, hanno assorbito la radioattività nuotando nelle acque contaminate o mangiando krill e molluschi contaminati. Crescendo ne hanno perso una parte ma non sono riusciti a eliminarla definitivamente dal proprio corpo. Portandola con sé, per così dire, a sei mila miglia di distanza.

I ricercatori infine evidenziano il possibile uso di questi traccianti radioattivi per conoscere le rotte migratorie di molte altre specie, come tartarughe, squali e uccelli marini, che frequentano le acque giapponesi. A sua volta queste informazioni potrebbero essere usate per la conservazione o per la gestione della pesca. Davvero quel che si dice guardare il bicchiere mezzo pieno.

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