JEKYLL

Quattro musicisti e un astrofisico

JEKYLL – Tra il successo del cantautore belga Gotye, “Somebody that I used to know”, in testa a tutte le classifiche ormai da mesi, e quella che si preannuncia la hit dell’estate, “Drive by” dei Train, tornati a farsi sentire dopo un periodo di silenzio, in questi giorni l’FM  trasmette la cover di “Figli delle stelle”, canzone pop-disco interpretata da Alan Sorrenti ormai più di 30 anni fa.

E fin qui, niente di straordinario. Se non che dietro al pezzo ci sono quattro musicisti e produttori d’eccezione – Gianni Maroccolo (uno a cui dobbiamo 17 Re dei Litfiba, ma anche l’avventura anni ’90 del Consorzio Produttori Indipendenti che ha sfornato artisti come i Marlene Kuntz), Max Casacci (reduce da un fortunato tour sold-out coi suoi Subsonica), Vittorio Cosma (formidabile produttore, che collabora da sempre con Elio e le Storie Tese e che nella vita è riuscito a passare dal progressive della PFM alle tarante salentine realizzate con Stewart Copeland dei Police) e Riccardo Sinigallia (nientedimeno che l’inventore del sound dei Tiromancino). E come se tutto ciò non fosse già abbastanza per gridare alla novità (e non solo: of quality), i Deproducers, è questo il nome del supergruppo, hanno coinvolto lo special guest Fabio Peri, stimato astrofisico e direttore del Planetario Civico di Milano.

Sì, avete letto bene: uno scienziato. Perché “Figli delle stelle” ha lanciato il primo album del collettivo, “Planetario”, in cui buona parte del fascino è proprio la voce narrante di Peri che racconta con tono suadente le costellazioni, la nascita delle stelle, il viaggio della luce e insomma tutte quelle cose di cui è abituato a riferire ogni giorno nel suo museo. «Raccontare l’Universo in studio di registrazione è molto diverso che farlo davanti al pubblico del planetario, perché non ho così tanto tempo a mia disposizione»,  rivela l’astrofisico, «bisogna arrivare a condensare tutto quanto in poche frasi di impatto. Ma allo stesso tempo diventa tutto molto più suggestivo».

Sette tracce che spaziano dall’atmosfera rilassata di “Planetario”, al rock elettronico di “Travelling”, “Home”e “Neu”, all’ambient di “Costellazioni”, al collage di “ISS”. Più un’unica canzone, propriamente detta, “Figli delle stelle” appunto, molto alla Tiromancino vista la voce di Senigallia: per certi versi un piccolo corpo estraneo al disco in termini musicali, anche se il testo è invece assolutamente in tema. A mettere le mani sull’album, tra l’altro, ci ha pensato anche il produttore scozzese Howie B, che si è occupato del mixaggio finale. Un cenno, infine, merita il packaging: una confezione cartonata e quadrata, grande e a soffietto, con ampie infografiche che illustrano i dati scientifici delle canzoni. Vale da sola il prezzo del cd.

E mentre anche gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale, ai quali l’album è stato prontamente spedito in versione mp3, stanno ascoltando le chitarre di Casacci, i Deproducers hanno già iniziato il loro tour stellare, letteralmente. «La nostra speranza è di portare lo spettacolo non solo nei teatri,» spiega Maroccolo, «ma anche nei luoghi di divulgazione scientifica, come le università o le scuole elementari, per esempio. Ma prima dobbiamo attivare le connessioni per renderlo possibile. Vorremmo che fossero delle specie di lezioni, senza la pretesa però di fare i maestri».

Secondo i piani dei Deproducers, “Planetario” (con annesso ambizioso progetto live) è solo il primo di una vera e propria enciclopedia della scienza in musica – prepariamoci. I prossimi argomenti, dopo lo spazio e le stelle? Botanica, robotica, energia e acqua, probabilmente. Se ancora non ve ne siete accorti, siamo di fronte all’ennesima conferma del fatto che la comunicazione e la divulgazione della scienza ormai possono prendere le strade più insolite, riservandoci grandi sorprese. Chi avrebbe mai pensato infatti che, come sostiene Cosma, «certe verità naturali, dette nel modo giusto, possono essere poetiche quanto un testo di Bob Dylan»?

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