AMBIENTE

Guardando attraverso il ghiaccio

AMBIENTE – Sulla terra, negli oceani, nell’atmosfera, nei freezer, nelle comete, su Marte: dal macro al micro, il ghiaccio è ovunque. Quali siano le sue forme e caratteristiche nei vari ambienti in cui lo ritroviamo, lo spiega uno studio pubblicato sulla rivista Reviews of Modern Physics, a oggi il più completo mai portato a termine sull’argomento. Un’impresa che ha prodotto un mastodontico articolo di 60 pagine, un vero e proprio compendio dello stato dell’arte della ricerca sottozero, e che ha visto la partecipazione di 17 scienziati provenienti da 11 paesi europei: l’Italia è stata rappresentata da Giovanni Strazzulla, dell’Instituto nazionale di astrofisica di Catania.

Il lavoro ripercorre le ricerche internazionali sul ghiaccio realizzate negli ultimi anni, e riporta risultati ottenuti riguardo alle strutture, le varietà e i processi fisici e chimici in cui è coinvolto. Il ghiaccio, infatti, può adottare una grande moltitudine di configurazioni quando si forma a temperature e pressioni molto basse, o anche quando si trova in comete, pianeti e particelle di polvere nello spazio interstellare. È quindi un mezzo dinamico, che presenta forti variazioni nelle sue caratteristiche, tanto nel tempo che nello spazio: è proprio da queste specificità, e dall’obiettivo di giungere a una migliore comprensione di morfologia e processi di questa forma solida, che nasce l’interesse della fisica contemporanea per questo tema.

Lo studio del ghiaccio è quindi un’area di grande attualità, e può fornire indicazioni sulla chimica e sulla fisica dell’atmosfera, poiché fa parte delle nuvole, come anche sui processi che hanno luogo nelle grandi calotte polari. Può anche giocare un ruolo essenziale nel cambio climatico, oltre che nella spiegazione delle origini della vita, giacché alcune teorie situano l’origine dei primi esseri viventi della Terra tra i ghiacci oceanici. Nell’articolo si analizzano anche altri temi, per esempio la presenza di ghiaccio su Marte e nelle comete, ma anche temi più ‘terrestri’, come il motivo per cui ancora oggi non si riescano a predire valanghe.

“Le valanghe sono dovute a un cambio nelle strutture interne delle particelle di ghiaccio tra i limiti di strati fisicamente differenti, che facilita lo slittamento dell’uno sull’altro. Il problema è che non possiamo ancora predire la stabilità fisica di questo strato”, spiega lo spagnolo Ignacio Sainz dell’Instituto Andaluz de Ciencias de la Tierra di Granada, uno dei pionieri della ricerca.

Il lavoro, guidato da Julyan Cartwright dello stesso istituto andaluso e partito proprio dalla Spagna, ha contato sulla partecipazione di rappresentanti di istituti specializzati in varie discipline, dalla struttura della materia alle scienze ambientali, all’astrofisica, oltre ad aver messo al lavoro a uno stesso progetto professionalità diverse anche per tipologia, come modellisti, sperimentali sul campo e da laboratorio, fisici e chimici teorici.

Il ghiaccio e le regioni polari, stavolta da un punto di vista storico, saranno anche due degli argomenti affrontati nella conferenza Cold War Blue Planet, organizzata dall’università di Manchester, Regno Unito, tra il 27 e il 29 giugno: l’ambito ‘ghiaccio’ sarà inserito in una panoramica più ampia, centrata sullo sviluppo delle scienze ambientali durante la guerra. La guerra fredda, ovviamente.

Crediti: John Vetterli

Condividi su