JEKYLL

Capi ufficio stampa per la ricerca: come sceglierli?

Intervista a Giovanni Caprara

JEKYLL – Archiviata la querelle mediatica nata intorno alle recenti dichiarazioni del capo ufficio stampa dell’INGV, resta qualche dubbio su chi, nel nostro Paese, si occupa di comunicazione della scienza in enti di ricerca pubblici. Perché c’è una questione di metodo, nella fattispecie legato alle modalità di reclutamento, che non è solo formale ma che può avere delle ripercussioni anche sulla sostanza. Conseguenze tanto più delicate, come argomentato da Barbara Gallavotti in un post di qualche giorno fa, se si considerano alcune criticità legate al ruolo della comunicazione istituzionale nell’uso che ne fanno i media.

Tornando dunque a uno fra gli interrogativi rimasti sul terreno dopo il polverone che si è alzato nelle scorse settimane: i capi ufficio stampa che si occupano di comunicazione scientifica sono davvero tutti “segnalati”? E se così fosse, quanto pesa il legame di fiducia personale tra “segnalante” e professionista rispetto all’indipendenza giornalistica? Jekyll ha rivolto queste domande a Giovanni Caprara, una delle firme più autorevoli del giornalismo scientifico e attuale presidente dell’UGIS

Quali sono i criteri  di selezione dei capi ufficio stampa negli enti di ricerca pubblici?

Non mi risulta che ci siano dei criteri univoci nella scelta degli addetti stampa negli enti pubblici. Posso solo riferirmi alla mia esperienza: in alcuni casi è stata buona; nella maggior parte dei casi, invece, è stata deludente (soprattutto se si prende in considerazione le università).  Al di là di qualche eccezione, le università non hanno ancora scoperto la necessità di comunicare. Devo quindi dedurre che i criteri siano occasionali e, per questo motivo, non professionali.

Da giornalista scientifico, ha mai percepito una qualche “sudditanza” nel loro modo di comunicare, come lungaggini nelle risposte o dati negati?

Riallacciandomi alla questione degli uffici stampa universitari, spesso si è vittima di lungaggini e di mancate risposte perché non esistono strutture adeguate e persone preparate. Sul fronte dei grandi enti di ricerca, non ho riscontrato grandi criticità.

Secondo lei, come dovrebbero essere reclutati i capi ufficio stampa? La chiamata diretta non si ripercuote sulla qualità della comunicazione, in termini di reale trasparenza dell’attività dell’ente stesso?

L’unico criterio valido è che abbiano avuto un’esperienza giornalistica vera, all’interno di un giornale. Solo in questo modo possono svolgere efficacemente il lavoro di comunicatori conoscendo necessità, criteri e metodi dei loro interlocutori. Se la chiamata è legata ad una chiara professionità è valida. Il responsabile della comunicazione è una figura delicata in ogni contesto. Deve godere della fiducia totale del capo dell’ente che lo chiama. Quindi una chiamata diretta è lecita. Così si comportano anche all’estero e dovunque. Diverso è l’atteggiamento per gli altri collaboratori dell’ufficio stampa, per i quali bastano professionalità e correttezza.

Dando per scontato che bisognerebbe mettere un po’ di ordine nei criteri di selezione, secondo lei qual è la ricetta per uscire da questa impasse?

Ribadisco quanto detto per la cosiddetta chiamata diretta. L’unica ricetta è la professionalità e l’esperienza giornalistica dimostrata.

Lo scenario delineato qualche giorno fa dal capo ufficio stampa dell’INGV (segnalazione diretta) è unico o riguarda tutti? Per esempio, tra gli addetti stampa iscritti all’UGIS (a proposito, a quanto ammontano?) quanto è diffuso il problema della non indipendenza, secondo lei?

Gli iscritti all’UGIS sono 130 e alcuni sono giornalisti iscritti all’Ordine che svolgono il lavoro di addetto stampa. Sull’indipendenza bisognerebbe discutere con i diretti interessati. Potrebbe essere l’argomento di un convegno.

Per entrare a far parte dell’UGIS, contano le raccomandazioni? Per esempio, ammettereste un masterista in comunicazione della scienza come me?

Anche lei può entrare nell’UGIS. Abbiamo appena approvato nel consiglio direttivo l’ammissione di soci anche non iscritti all’Ordine e nella prossima assemblea di novembre attueremo una revisione dello statuto per aprire anche a persone come lei che hanno interesse a svolgere attività di comunicazione scientifca pur non essendo iscritte all’Ordine dei gionalisti. Questo perchè oggi ci sono molti free-lance che non fanno parte dell’Ordine, anche perché rappresenta un onere. L’unico criterio per noi valido è la professionalistà. Le domande e gli articoli sono valutati dal collegio dei probi viri che attestano i requisiti e accettano o rifiutano la domanda d’ammissione. Nessuna raccomandazione.

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