COSTUME E SOCIETÀ

Si salvi chi può (la vera legge del mare)

COSTUME E SOCIETÀ – “Prima le donne e i bambini”: fine di una leggenda marinara.

Su una nave che affonda c’è poco spazio per la galanteria, e l’immagine romantica di uomini valorosi che cedono il posto a donne e bambini sulle scialuppe di salvataggio mentre la nave scompare negli abissi marini è buona solo per colossal hollywoodiani. Insomma, quando di mezzo c’è la vita l’unica regola che conta è quella di salvare la propria. E allora, nella sventura di un naufragio, chi ha maggiori possibilità di trovare posto su una scialuppa di salvataggio? La risposta va contro le comuni credenze sul comportamento umano in caso di pericolo. Le maggiori chancedi salvarsi ce l’hanno nell’ordine: l’equipaggio, il capitano, gli uomini, le donne e, per ultimi, i bambini.

Ce lo dice uno studio apparso sulla rivista scientifica americana Proceedings of the National Academy of Sciences, in cui Mikael Elinder e Oscar Erixson, della Università di Uppsala, in Svezia hanno ricostruito gli eventi di 18 disastri avvenuti tra il 1852 ed il 2011. Una serie di sciagure che hanno coinvolto più di 15000 persone, tra equipaggio e passeggeri.

I due ricercatori scandinavi hanno riunito un cast di vascelli e navigli d’eccezione per compiere uno studio sui disastri marini. Si comincia con la Birkenhead, una delle prime navi a scafo metallico, orgoglio della Royal Navy Britannica, fino a quando nel 1852 affondò nelle acque dell’Oceano indiano. Sopravvissero solo 193 dei 643 passeggeri. Nello studio si incontrano ovviamente anche il Titanic, che non necessita di presentazioni, e la Lusitania: un imponente transatlantico in servizio tra Liverpool e New York nei primi del 900, silurato da un sommergibile militare tedesco nel 1915 e colato a picco in appena venti minuti (1190 passeggeri, 768 sopravvissuti). A chiudere la lista è il Bulgaria, la nave turistica russa che affondò nel 2011 sul Volga. Nel disastro persero la vita 110 persone e solo 76 si salvarono.

I ricercatori svedesi intendevano verificare la credenza diffusa, soprattutto dopo la tragedia del Titanic in cui il comandante si sacrificò dopo aver dato l’ordine “prima le donne e i bambini”, che esista una sorta di norma per cui gli uomini si sacrificano per salvare le vite di donne e bambini. E, se questa non si dimostri una norma sociale spontanea, i ricercatori volevano capire il ruolo del comandante nell’imporla. Più in generale volevano investigare sul comportamento e le relazioni sociali che si attivano in caso di emergenza, quando in gioco c’è la vita o la morte.

Se è vero, come si dice, che in mare vige la legge di mettere in salvo prima le donne e i bambini, i dati storici dovrebbero mostrare una maggiore mortalità tra l’equipaggio e le persone di sesso maschile. Questo è quanto emerge per esempio dalla tragedia del Titanic. Ma, si chiedono i ricercatori, e se il Titanic fosse una eccezione? Chi ha in realtà maggiori possibilità di salvarsi in caso di naufragio? E quale ruolo possiede il capitano nel corso degli eventi?

La figura che ne esce è contraria al senso comune. Nei diciotto casi analizzati i marinai hanno in assoluto il più alto tasso di sopravvivenza. Anche i capitani hanno una buona chance di scamparla (dato che possiamo confermare anche nelle nostre acque ed in tempi più recenti). Seguono gli uomini, poi le donne e gli ultimi a lasciare la nave sono i bambini.

Anche se, riflettono i ricercatori svedesi, non poteva essere diversamente. L’equipaggio conosce infatti la nave ed i sistemi di salvataggio, che è  invece materia oscura per i passeggeri, che reagiscono con scelte determinate pix dagli ormoni (l’adrenalina in primis) e dall’istinto di sopravvivenza, che da un codice etico.

Ed il comandante? Il comandante in tutto ciò ha un ruolo fondamentale, spiegano i ricercatori. Infatti il potere di ordinare il salvataggio prima delle donne e dei bambini è nelle sue mani. Nei casi in cui l’ordine è stato dato, secondo lo studio, le chance di sopravvivenza di donne e bambini è aumentato. I dati mostrano, comunque, una certa riluttanza ad impartire l’ordine (dato solo in 5 casi su 18).

Qualcosa però è cambiato verso la fine della prima guerra mondiale. Prima di allora la sopravvivenza di donne e bambini era sostanzialmente nelle mani dei passeggeri di sesso maschile e del capitano. Gli uomini, soprattutto fino a qualche decennio fa indossavano indumenti più agevoli in caso di fuga, avevano maggiore dimestichezza con il nuoto, ed una maggiore forza fisica. Dagli anni ’20 la differenza tra i due sessi è diminuita.

Infine lo studio infrange un altro mito marinaresco: lo spirito di sacrificio a onor del “sesso debole”, orgoglio della marina britannica, è una leggenda. Il caso del Titanic è, appunto, una eccezione e nei naufragi studiati gli equipaggi di sua maestà non hanno mostrato segni di galanteria maggiori rispetto ad altre nazioni. “La vicenda del Titanic ha dato origine a molte idee sbagliate”, concludono i due ricercatori che la vera legge del mare è, in poche parole: “si salvi chi puo’.”

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