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L’età del padre

Father/'s age and number of de novo mutations.

NOTIZIA – Un ricerca pubblicata oggi su Nature conferma che il tasso di nuove mutazioni trasmesse dagli spermatozoi ai figli aumenta insieme agli anni del padre e suggerisce una correlazione ancora da verificare.

Le donne si sentono spesso dire che è meglio per la discendenza se ci pensano da giovani. Ma si sapeva da tempo che nascono con un corredo di ovuli, mentre gli uomini producono nuovi gameti per tutta la vita. Si sospettava che a furia di dividersi le cellule spermatiche accumulassero nei cromosomi  un bel po’ di errori di copiatura. Per lo più irrilevanti, ma qualcuno ogni tanto deleterio o vantaggioso.

Kári Stefánsson, il genetista che dirige la società deCODE nella quale è depositato il genoma della maggioranza degli islandesi, ha confrontato insieme a un gruppo di colleghi, le sequenze geniche di madre, padre e figli di 78 nuclei famigliari, a volte su più generazioni. Cercavano le mutazioni (polimorfismi a singolo nucleotide) assenti nei genitori e presenti nei figli che erano quindi avvenute spontaneamente nell’ovulo, nello spermatozoo o nell’embrione.

In media, è risultato, una donna trasmette 14,2 mutazioni, una quantità che resta stabile nel suo periodo riproduttivo, e un uomo 55, ma con un aumento esponenziale dai vent’anni in poi:

il tasso di mutazioni paterne è stimato aumentare  di 4,28% all’anno, il che corrisponde a un raddoppio ogni 16,5 anni e un aumento di 8 volte nell’arco di 50 anni.

Dai 60 anni in su, la stima è incerta, scrivono gli autori, perché nel loro campione solo 3 uomini erano diventati padri dopo i 40 anni. Fin qui, niente da ridire. Ma secondo Stefánsson et al., quei risultati “suggeriscono” che con l’età del padre

aumenta in proporzione la probabilità che il figlio sia portatore di mutazioni che potrebbero portare  all’autismo o alla schizofrenia,

come indicano alcuni studi epidemiologici sulla popolazione finlandese (il fratello di Stefánsson soffre di schizofrenia, ma in Islanda è rara). Sembra prematuro correlare sia la schizofrenia che l’autismo – già parecchio diversi tra loro – a mutazioni spontanee dagli effetti ignoti. Tanto più che gli islandesi sono una popolazione omogenea come poche altre.

Lungi da noi suggerire alcunché, ma date le recenti traversie finanziarie di deCODE , quella correlazione generalizzata sa un po’ di marketing rivolto al pubblico statunitense.

Crediti immagine: Augustine Kong et al., Nature, 23 agosto 2012

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