SALUTE

Più donne nei trial clinici per L’HIV (I)

SALUTE – Gli scienziati sono frustrati: sono poche le donne che partecipano ai trial clinici studiati per testare i vaccini anti-HIV nei Paesi in via di sviluppo, quelli in cui l’AIDS risulta più diffuso. Le donne, stando a quanto discusso alla Conferenza AIDS Vaccine 2012 che si è tenuta a Boston dal 8 al 12 settembre, rappresentano solo un quinto di coloro che partecipano a questi test di sperimentazione.

Le ragioni di questa latitanza – nei Paesi in via di sviluppo – sono connaturate al contesto sociale e alle difficoltà incontrate dalle eventuali volontarie. Devono evitare una gravidanza durante tutta la sperimentazione, essere libere di potersi esporre come soggetti a rischio, subendo lo stigma da parte della comunità in cui vivono, chiedere il consenso dei familiari, spesso negato, e infine potersi sottoporre a numerose visite ed esami, magari a chilometri di distanza da casa. In altri test – cita l’autore dell’articolo pubblicato su Nature – i partecipanti hanno dovuto presenziare a 22 visite e 7 esami in 18 mesi, recandosi ogni volta sul luogo della sperimentazione. E questi problemi si riscontrano anche per altre patologie, come nel caso del vaccino contro il papilloma virus in Mali.

Lo sconforto degli scienziati è quindi comprensibile: “potremmo ottenere un vaccino che susciti una buona risposta immunitaria negli uomini”, ha detto Hannah Kibuuka, direttore del Walter Reed Project dell’Università Makerere (MUWRP) in Uganda, “ma non potremo sapere se funziona altrettanto bene nelle donne”.

Eppure le donne sono le più vulnerabili al contagio in caso di AIDS per via sessuale, a causa dell’esposizione allo sperma che contiene più virus rispetto al liquido vaginale. Gli organi genitali femminili sono inoltre più soggetti ad abrasioni e leggere ferite della mucosa che le rendono più sensibili rispetto agli uomini eterosessuali. Le donne sono esposte a stupri, violenze, e hanno scarso potere, in alcuni contesti, nel pretendere che l’uomo utilizzi il preservativo. Per approfondire il tema complesso delle differenze di genere nella infezione da HIV e nella sperimentazione clinica, abbiamo intervistato Massimo Galli, professore ordinario di malattie infettive dell’Università di Milano e primario all’Ospedale Sacco.

Nei trial clinici nei Paesi in via di sviluppo mancano le donne …

La scarsa presenza della donna è un problema globale, che riguarda anche i trial clinici disegnati nei Paesi occidentali. Le sperimentazioni sui farmaci antiretrovirali sono partite nei Paesi ricchi, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, e non da molti anni coinvolgono anche Paesi in via di sviluppo. È un problema serio, perché gli studi su cui oggi si basano le scelte terapeutiche spesso si fondano per le donne su un numero limitato di dati e le differenze di genere non sono trascurabili quando si devono decidere dosi e modalità di somministrazione dei farmaci o considerare le tossicità, alcune delle quali impattano diversamente sul donna rispetto all’uomo.

Quindi anche nei trial occidentali mancano le donne?

Negli Stati Uniti e in Europa la selezione dei partecipanti è stata condizionata dalla diffusione della malattia, che inizialmente interessava soprattutto uomini che fanno sesso con uomini e i tossicodipendenti, che sono in maggioranza maschi. In Italia solo il 23% delle diagnosi di AIDS osservati dall’inizio dell’epidemia riguardava persone di sesso femminile e nel 2009 il rapporto tra maschi e femmine delle nuove diagnosi di sieropositività rimaneva di tre a uno. Nei Paesi del terzo mondo invece le donne colpite sono più del 50% dei casi, in aumento.

(Continua nella seconda parte…)

Crediti immagine:  philippe leroyer

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