POLITICA

L’Italia e gli scienziati (de L’Aquila e de l’Ilva)

POLITICA – Due cose sono  accadute ieri: è stata emessa la sentenza a carico dei membri della (allora) Commissione Grandi Rischi sui fatti relativi al terremoto de L’Aquila del 2009 e sono stati resi pubblici i dati raccolti dall’Istituto Superiore di Sanità sulla salute dei cittadini di Taranto. Due facce di un quadro contraddittorio e doloroso del nostro paese e del rapporto fra società civile, politica e scienza.

Di entrambi sapete già molto, mi limiterò a riassumere brevemente. Piena colpevolezza per tutti gli imputati, riconosciuti colpevoli di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose plurime. Il giudice ha ritenuto di aggiungere due anni di condanna ai quattro richiesti dall’accusa, interdizione dai pubblici uffici, ecc. Tutti la stessa identica pena, senza distinzione. Cos’è successo? Nel 2009 solo una settimana prima del 6 aprile (per la precisione il 31 marzo), la notte del sisma che ha ucciso più di 300 persone rimaste sepolte nel cuore della notte nelle loro case, la Commissione Grandi Rischi si era riunita (a seguito del potente sciame sismico che stava colpendo la zona e aveva messo in allarme la popolazione) per decidere sul da farsi. La commissione era riemersa dalla riunione (frettolosa) senza di fatto concludere nulla e in una successiva conferenza stampa Bernardo De Bernardinis  aveva fatto delle generiche rassicurazioni verso la popolazione (e qualche pseudospiegazione, sul benefico scarico di energia in atto) mai smentite dagli altri membri della Commissione. La tesi dell’accusa è che queste parole avevano rassicurato la popolazione che normalmente avrebbe invece dormito fuori casa, inducendoli a restare nella abitazioni, per poi rimanervi intrappolati la notte fatale.

La difesa è stata tutta costruita intorno all’asserzione (innegabile) che “i terremoti non si possono prevedere” e che dunque i sismologi non possono in alcun modo aver responsabilità sulla scossa. Sin qui i fatti, da qui in poi qualche mia opininione e considerazione. È vero che i terremoti non si prevedono. questo significa anche che “non si possono fare previsioni puntuali intorno ai terremoti” nemmeno in positivo, e dunque non si poteva a rigor di logica rassicurare nessuno. La domanda successiva è però: poteva la Commissione Grandi Rischi uscire dalla riunione e dire alla popolazione “non sapppiamo dirvi nulla, può succedere un ‘big one’, come anche no per altre decine di anni (forse più). Fate voi in coscienza”? Poteva mostrare questo tipo di incertezza? La Commissione Grandi Rischi ha una funzione anche politica, nel senso che i pareri che esprime hanno un’implicazione sulle decisioni politiche, per la gente, sulla gente. In un mondo ideale una struttura del genere dovrebbe avere una visione sul lungo periodo, che non la dovrebbero mettere in certe condizioni. In un mondo ideale, i dati scientifici (mappe di rischio e valutazioni sulla sicurezza degli edifici ) avrebbero dovuto dar luogo a messe in sicurezza, sanzioni per chi aveva costruito in maniera inadeguata. Quegli edifici in un mondo ideale (in un area a tal rischio sismico) non avrebbero dovuto esistere. Ma questo non è un mondo ideale. Cosa avrebbe dovuto dire la commissione allora? Qualcosa tipo: “data la condizione pessima degli edifici, dato il rischio sisimico della regione, quegli edifici sono inagibili. Non temporaneamente, sono inagibili punto e basta. Magari non succederà un terremoto da qui a cent’anni, ma se succede (e potrebbe) quelle case vanno giù”. Sarebbe stata una decisione coraggiosa e coerente con quello che è il sapere scientifico a oggi, compreso il fatto che i terremoti non si possono prevedere. Si è scelto di tentennare, e di non smentire chi ha parlato con superficialità, magari interpretando male il  proprio ruolo nell’ambito della società (forse con un pizzico di paternalismo pure). È stata un decisione sbagliata, e in questo caso gli scienziato hanno certamente sbagliato (certo che ogni pena deve essere però commisurata alla colpa).

L’altro fatto importante sono i dati ISS sulla salute (molto poca) dei residenti intorno allo stabilimento dell’Ilva di Taranto. I dettagli li trovate qui, riassumo brevemente per semplicità. Sono dati allarmanti, terribili, che non lasciano molti dubbi sulla pericolosità dello stabilimento pugliese. L’Ilva con ogni probabilità sta uccidendo i cittadini di Taranto da decenni. Siamo in una situazione diametralmente opposta a quella de L’Aquila. Qui c’è una comunità scientifica che fa la voce grossa e mette in allerta la popolazione civile, e c’è una popolazione civile preoccupata da uno spettro “cognitivamente” più vicino e palpabile, che è quello di perdere il lavoro, che si schiera dalla parte dell’avvelenatore. Sia ben inteso non è tutta la popolazione di Taranto a difendere l’Ilva, ma esiste un fronte operaio molto agguerrito che non vuole la chiusura degli stabilimenti. Fin qui i fatti, da qui le considerazioni. Si può barattare la salute (o peggio, la vita) per il lavoro? Assoultamente no. Lo dicono le vicende Eternit, per esempio, lo dicono le migliaiaia di morti sul lavoro ogni anno nel nostro Paese. Hanno ragione gli operai del’Ilva a protestare contro la chiusura dello stabilimento? A mi parere no, seppur comprendo il loro dramma. Hanno gli elementi per sapere che quello stabilimento è morte. Cosa dovrebbero chiedere gli operai? Difficile dirlo. In un mondo ideale si dovrebbe pretendere (e lo Stato dovrebbe essere coercitivo) che gli impianti vengano pesantemente ammodernati e resi compatibili con l’ambiente (nessuna acciaieria sarà mai “ecologica” ma certo si può fare molto meglio di quello che ora ILVA sta facendo, i costi però sono enormi). In un mondo reale forse bisogna scegliere se morire di fame oggi e sperare di trovare altro (con un pesante impegno del nostro Stato) o morire di tumore domani. In ogni caso non si può mettere la testa nella sabbia.

Due storie importanti, di un’Italia che sta letteralmente sanguinando. Tutte e due ruotano intorno alla responsabilità civile degli scienziati e all’importanza di comunicare al di fuori della stratta comunità scientifica i dati della ricecra. Tutte e due sono un esempio da tenere a mente, che ci deve far pensare.

PS: Personalmente, anche se credo che i membri della Commissione Grandi Rischi siano stati superficiali nel comunicare con la società civile, credo anche che con questa sentenza si sia andati un po’ troppo oltre e si sia voluto dare una punizione esemplare per dare l’impressione alla bistrattata popolazione aquilana che sia stata fatta giustizia. Vorrei vedere allora lo stesso rigore applicato verso chi ha costruito palazzi fatiscenti (ricordiamo l’ospedale de L’aquila e la casa dello studente) in zona fortemente sismica, a chi ha permesso che ciò accadesse e a chi non ha vigilato e monitorato. Se la Commissione Grandi Rischi è responsabile di omicidio colposo, per la stessa logica queste altre persone dovrebbero essere riconosciute colpevoli di omicidio volontario (tentato omicidio, nel caso dell’ospedale, perché per fortuna non ci sono statoi morti). Stessa cosa per i vertici dell’Ilva, che non potevano “non sapere”.

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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.