SALUTE

Inutile (e anche dannosa)

Crediti immagine: BLW PhotographySALUTE – Se digitate “terapia chelante” in Google e come ne avevate solo vagamente sentito parlare, rimarrete stupiti dal numero di risultati che otterrrete. Si tratta di una terapia molto in voga e da qualche anno, specie negli Stati Uniti, viene invocata da alcuni come una un trattamento efficace contro l’autismo, che si basa a sua volta sull’assunzione, mai provata, che esista una base ambientale per questa malattia, dovuto all’intossicazione da metalli pesanti. Una ricerca pubblicata sulla rivista Research in Autism Spectrum Disorders mette in guardia:questo tipo di terapia è inutile (e può rivelarsi molto dannosa per i bambini trattati).

Diverse survey negli Stati Uniti mostrano che una media del 7% dei bambini con disturbo autistico vengono trattati con terapia chelante, ma che i medici (che secondo i dati disponibili non la raccomandano mai) spesso sono impreparati sul tema: il 26% dichiara infatti di non aver informazioni per sconsigliarla.

Mancavano però studi sistematici sugli effetti della terapia chelante sulla salute di questi bambini. La ricerca di Tonya Davis della Baylor University e colleghi (è coinvolto anche Giulio Lancioni, dell’Università di Bari) ha messo in rassegna 5 studi (gli unici che hanno superato i criteri stabiliti e che si possono trovare nel paper originale) che hanno preso in esame bambini affetti da autismo sottoposti a terapia chelante. In tutti 5 gli studi esaminati non si sono trovate prove di miglioramento della condizione autistica  riconducibile al trattamento.

La preoccupazione più grande, secondo gli autori, è che non solo non si trovano in lettaratura prove dell’efficacia del trattamento (l’unico studio preso in esame che dava dati positivi si è rivelato molto debole dal punto di vista metodologico) ma che non esiste in letteratura alcuna prova che colleghi con certezza autismo e concentrazione ematica di metalli pesanti. Il ricorso alla terapia chelante sarebe dunque illogico, secondo gli autori.

Ogni terapia medica, se ci fosse bisogno di ripeterlo, ha sempre una componente di rischio (effetti avversi) che va ponderata alla luce dei benefici portati dal trattamento. Se questi non ci sono (e non abbiamo prove per ritenere che ci siano) come appare per la terapia chelante, gli effetti avversi diventano preponderanti. Come riportano nello studio, in una delle ricerche c’è stato un decesso (arresto cardiaco dovuto a ipocalcemia durante un trattamento chelante intravenoso) e un altrio studio del 2008 è stato sospeso per iforti sintomi (nausea, vomito, ecc.) riporato dai soggetti coinvolti.

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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.