COSTUME E SOCIETÀCRONACA

La frode è maschia?

F2.largeCOSTUME E SOCIETÀ – Quando si tratta di frodi o disonestà in laboratorio, i maschi sembrano più coinvolti delle femmine. Lo dicono tre ricercatori, tra cui le vecchie conoscenze Ferric Fang e Arturo Casadevall, che si sono presi la briga di studiare i 228 casi di misconduct segnalati dall’ORI, l’Ufficio americano per l’integrità nella ricerca, dal 1994 a oggi. Tutti relativi alle scienze della vita, che sono quelle di cui si occupa l’ORI. Due i risultati che balzano agli occhi. Primo: i comportamenti disonesti non hanno età. Contrariamente all’atteso, solo il 40% dei casi è attribuibile a dottorandi e postdoc, mentre ben il 60% riguarda ricercatori senior, professori, membri di facoltà. Il che, tra l’altro, suggerisce che eventuali corsi di etica della ricerca non dovrebbero essere indirizzati soltanto ai ricercatori più freschi. Secondo: a “barare” sono soprattutto maschi, il 65% del totale .

Vale la pena guardare in dettaglio la distribuzione di genere per fascia di rango accademico, perché è qui che si annida la vera sorpresa: tra i membri di facoltà colpevoli di frode, plagio o altre disonestà, ben l’88% è maschio, contro il 69% dei postdoc e il 58% degli studenti. In ogni fascia, sottolineano gli autori su mBio, la proporzione di maschi “fraudolenti” è superiore a quella che ci si potrebbe aspettare tenendo conto della diversa distribuzione dei generi (si sa che le donne nelle stanze dei bottoni sono sempre meno degli uomini). Dei 72 “anziani” segnalati dall’ORI per misconduct, solo 9 erano donne: un terzo in meno di quanto previsto sulla base dei numeri di facoltà.

Naturalmente non si può escludere che le donne frodino tanto quanto i colleghi maschi, ma siano più abili a non farsi scoprire. Secondo Fang e collaboratori, però, in gioco potrebbero esserci altri fattori. Per esempio: natura o cultura che sia, le statistiche dicono che gli uomini sono in generale più inclini a comportamenti rischiosi o criminali. Anche lo stesso tetto di cristallo che ostacola le donne potrebbe essere coinvolto, come spiega Ashutosh Jogalekar nel suo blog su Scientific American: «Le spinte repulsive che, da una gerarchia dominata da uomini, tengono lontane le donne dagli avanzamenti di carriera potrebbero anche renderle più sensibili alle critiche. Più consapevoli dei rischi di un’eventuale condanna».

Ancora più che sul bias di genere, però, è su un altro aspetto che lo studio invita a riflettere: la fortissima pressione alla pubblicazione a cui sono sottoposti i ricercatori, il clima esasperato da publish or perish che, in epoca di tagli ai fondi, si fa sempre più duro.

Immagine: © 2013 Fang et al

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance