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#turboblogging – «Ricostruire è ricerca»

HeaderSANA Questo post partecipa alla competizione Turboblogging – tutta la ricerca in un post. 

il messaggio di Rita Levi Montalcini

EVENTI – Sentiamo le parole “innovazione” e “sostenibilità” e ci mettiamo sempre automaticamente all’erta: queste etichette sono diffuse ovunque, ne siamo bombardati, dal volantino pubblicitario alla conferenza e, spesso, ci ritraiamo cedendo alla facile conclusione che il contenitore valga più del contenuto.

Non sempre è così, naturalmente, ma bisogna prendersi un po’ di tempo per separare il grano dalla pula, per capire se ci troviamo di fronte a qualcosa di concreto o se ci siamo per l’ennesima volta semplicemente invischiati nel jargon (tr: supercazzole) del marketing.

In Emilia Romagna, per esempio, di questo grano ce n’è molto. Un esempio è dato  dalla Rete Alta Tecnologia, un network su sei piattaforme (Agroalimentare, Costruzioni, Energia Ambiente, ICT e design, Meccanica Materiali, Scienze della Vita) tra Università, imprese e amministrazioni, che su innovazione e sostenibilità si regge e cammina. Lo scorso pomeriggio nella biblioteca del CNR un “contingente” di blogger si è trovato a fare un lavoro che dovrebbe essere l’ordinaria amministrazione delle redazioni scientifiche (se ancora ce ne fossero) nei giornali generalisti: faccia a faccia con i protagonisti, raccontare la ricerca italiana, compresa quella industriale, spiegando che in Emilia Romagna l’innovazione non sta nell’imbarazzante E-Cat (il misterioso oggetto che produrrebbe più energia di quella che assorbe, ma al quale non è possibile avvicinarsi per provarlo) ma ad esempio nella capacità di una regione che si rimette in piedi dopo il sisma cominciando dalla ricerca.

Dello scorso terremoto in Emilia si è scritto tanto, ma mentre toccava arginare la (prevedibile) disinformazione in salsa complottista, sulla Rete Alta Tecnologia si attivava la Piattaforma costruzioni.

«Ricostruire è ricerca» ha detto il professor Marcello Balzani (Università di Ferrara – Teknèhub e referente scientifico della piattaforma) in un breve intervento, e in Emilia-Romagna è proprio così.

Passo indietro: come ben sappiamo in Italia non esiste ancora una cultura della prevenzione del rischio in generale e sismico in particolare. Le leggi ci sono ma pochissime regioni si sforzano di applicarle e, anche se l’Emilia-Romagna è fra queste, c’è ancora moltissimo da fare. In particolare non possiamo contare solo su nuovi edifici che implementino le norme previste, ma c’è assoluto bisogno di una serie di interventi di messa in sicurezza delle costruzioni già esistenti. Scuole, prima di tutto, ma anche l’immenso patrimonio storico-artistico.

Già prima del sisma la Piattaforma Costruzioni Rete Alta Tecnologia era al lavoro su un sistema di structural health monitoring (SHM), cioè in grado di rilevare in tempo reale i punti deboli di un edificio in modo non invasivo. Prodotto da un’azienda di Lugo (Ravenna), la Teleco, a poche settimane dal sisma il sistema è stato presentato al salone Research2Business di Bologna, e ora impiegato sul campo a fianco di altre tecnologie analoghe made in E-R per testare la sicurezza di edifici pubblici.

Sembra una pazzia pensare all’edilizia in tempi di crisi economica, e non è un segreto che quella italiana storicamente ha (appunto) investito più sui volumi che sulle tecniche, ma le cose stanno cambiando: edilizia non vuol dire necessariamente costruire (bene), ma ripristinare, rigenerare, recuperare.

Come devono essere i nuovi edifici? Ovviamente a impatto (quasi) zero (cioè sostenibilità), come quelli che un’altra impresa sulla Rete, la Imilegno di Mordano (Bologna) costruisce usando un materiale altamente innovativo, se si sa come utilizzarlo: il legno. E perché non trovare anche il modo di riciclare le macerie, ad esempio sfruttandole come isolante a costo (e a chilometro) zero?

Iader Marani (Imilegno) parla coi blogger

Dalla ricerca al civismo lo sviluppo è più veloce quando è nel giusto substrato o, se volete, visto che siamo anche nella capitale della macchine industriali, in presenza del giusto lubrificante.

Tra veicoli radiocomandati per il monitoraggio ambientale e nuovi materiali, tutti gli interventi della giornata sembrano confermare questo, e sarebbe fin troppo facile abbandonarsi all’ottimismo quando si sente parlare a commento della (indubbia) imponente produzione di ricerca di base e industriale dell’Emilia-Romagna di una possibile “nuova Silicon Valley”. Sempre per distinguere marketing e fatti: in primo luogo la possibilità di fare una nostra Silicon Valley, purtroppo, l’abbiamo persa negli ’70, quando l’Italia scelse di fatto di rinunciare a ricerca e sviluppo e puntare su attività manifatturiere a bassa tecnologia. In secondo luogo, come ben sanno gli attori stessi delle sei piattaforme (ad altissima interdisciplinarietà) se è vero che devono essere ancora inventati i lavori che andranno a fare a 30 anni (ma speriamo prima) gli studenti attualmente nelle nostre Università, allora se ci deve essere una nuova rivoluzione nel campo della ricerca e sviluppo sarà giocoforza unica nel suo genere (come fu quella della Silicon Valley).

Da ultimo, come hanno appreso i cittadini emiliano romagnoli che hanno guardato il Tg Regione ieri sera, un territorio forte non è sufficiente: le Officine Ortopediche Rizzoli, un nostro fiore all’occhiello, sono ora sul punto di chiudere proprio perché hanno deciso di investire in ricerca: i soldi che dovevano arrivare dalle ASL, schiacciate dalla crisi, non sono mai arrivati e non ci sono appigli giuridici per ottenere in fretta liquidità per andare avanti.

Un progetto come la Rete Alta Tecnologia è un buon punto di partenza e la sua realtà è ancora poco nota perfino a chi ci abita in mezzo (e da qui il turboblogging). Se però vogliamo che le nostre Rita Levi Montalcini, alla quale è stata dedicata la chiusura della giornata, non se ne vadano tutte e magari (come ha fatto lei stessa) ritornino, serve che questo esempio, assieme ad altri, venga esteso alla penisola: come mostra il caso delle Officine è ancora troppo facile mettere in ginocchio un’azienda virtuosa.

In altre parole una buona Rete fa presto a strapparsi se deve prendere pesci troppo grossi, e per trainare l’Italia fuori dalla crisi non si deve smettere di reclamare a gran voce che sia lo Stato il primo a investire in ricerca e sviluppo, senza dimenticare la diffusione della cultura: fare scienza e ricerca passa anche attraverso la sua comunicazione e, come dimostra il sostegno popolare alla ricostruzione della Città della Scienza di Napoli in una regione lontanissima da qui, la cittadinanza è pronta.

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Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, mi sono formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrivo abitualmente sull’Aula di Scienze Zanichelli, Wired.it, OggiScienza e collaboro con Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione. Ho scritto col pilota di rover marziani Paolo Bellutta il libro di divulgazione "Autisti marziani" (Zanichelli, 2014). Su twitter sono @Radioprozac