LA VOCE DEL MASTER

Aspirina e degenerazione maculare nell’anziano

800px-Regular_strength_enteric_coated_aspirin_tabletsLA VOCE DEL MASTER – Nel 1991 Klein pubblicò per primo un articolo che indicava l’uso regolare dell’aspirina come un nuovo fattore di rischio per la degenerazione maculare senile (AMD, Age-related Macular Degeneration), una patologia considerata la prima causa di perdita della vista in Occidente (il 41% dei non vedenti secondo l’OMS). Il fatto che il farmaco serva a curare patologie che si manifestano in modo prevalente negli anziani e che possa essere collegato con una malattia invalidante tipica dell’età avanzata ha suscitato un dibattito tra medici e ricercatori.

L’AMD provoca la formazione di una macchia al centro dell’occhio in seguito a un fenomeno di neo-vascolarizzazione. Colpisce la macula, ossia la zona della retina importante per la visione centrale, quella che consente di riconoscere i volti, di leggere e di guidare. A questo si aggiunge anche il rilevante peso economico: il paziente deve sottoporsi a iniezioni molto costose per limitare il danno oculare. Le cause della patologia non sono ancora note e i ricercatori cercano fattori di rischio legati allo sviluppo della degenerazione: il fumo, il diabete, le malattie cardiovascolari, l’età e le predisposizioni genetiche.

Dopo la pubblicazione dello studio di Klein, dove si suggeriva un legame fra il farmaco e l’AMD, numerosi centri di ricerca hanno intrapreso studi epidemiologici, analizzando differenti fattori di rischio, che finora non sono riusciti però a fare chiarezza definitiva sulla questione.

L’aspirina, infatti, è tra i medicinali più diffusi. I dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale per l’impiego dei medicinali per l’anno 2012, la pongono al ventitreesimo posto tra i principi attivi più venduti in Italia. Grazie alle sue molteplici applicazioni, è anche il secondo farmaco più prescritto durante i ricoveri ospedalieri.

I pazienti la adottano in caso di dolori o febbre. In età avanzata serve per lenire dolori e infiammazioni alle giunture tipiche dell’artrite. Anche i cardiopatici o chi ha subito un infarto assume regolarmente aspirina per fluidificare il sangue.

Qualche settimana fa un gruppo di ricercatori cinesi ha fatto una sintesi tra tutti gli studi relativi ad AMD e aspirina. L’analisi, pubblicata su PLOS, ha rivelato che soltanto 10 dei 23 studi pubblicati sull’argomento dal 1996 al 2012 hanno una valenza scientifica per come sono stati strutturati e per l’elaborazione dei risultati.

Considerando tutte le ricerche, i soggetti analizzati sono circa 172.000 distribuiti in America, Europa e Asia. La comparazione tra i diversi studi è difficile poiché i tempi di osservazione dell’effetto dell’aspirina variano da un articolo all’altro e solo sei analisi tengono conto dello stile di vita e delle patologie dei pazienti. Anche la quantità di principio attivo somministrato è alquanto variabile. Applicando una meta-analisi su tutti i risultati non spicca alcuna differenza tra coloro che assumono aspirina e coloro che non ne fanno uso.

Oltre allo studio cinese appena pubblicato ci sono altre verifiche. La raccolta di una grande quantità di dati su pazienti australiani presso il Westmead Millennium Institute for Medical Research di Sydney ha permesso di pubblicare un recente lavoro su JAMA Internal Medicine. La National Health & Medical Research Council Australia ha finanziato lo studio che ha coinvolto 2389 persone. Malgrado i soggetti analizzati siano numerosi, quelli che assumevano regolarmente aspirina erano soltanto 257. Dopo 15 anni, solo 63 tra questi ultimi hanno manifestato la degenerazione. Non si nota, quindi, una correlazione positiva. Piuttosto sembra emergere che l’accumulo del principio attivo per un tempo prolungato possa raddoppiare il rischio di contrarre la forma peggiore di degenerazione maculare, quella con neo-vascolarizzazione, che porta a un rischio di cecità quasi totale.

I ricercatori hanno progettato in modo preciso l’analisi, applicando metodi standard. Tuttavia, le critiche non hanno tardato ad arrivare. I commenti, pubblicati su JAMA Internal Medicine, sostengono che l’uso di aspirina due volte a settimana per tre mesi non si può considerare costante. Un altro problema risiede nell’impostazione dell’indagine: i ricercatori non spiegano il motivo per cui i pazienti si siano sottoposti a una terapia con aspirina e soprattutto c’è bisogno di studi più casuali all’interno della popolazione. Gli utilizzatori regolari del farmaco sono troppo pochi rispetto al numero totale di persone analizzate e per questo l’incidenza della patologia è limitata a 63 soggetti. Inoltre, solo il 56% delle persone incluse nella ricerca vi ha partecipato per l’intero periodo di 15 anni.

A partire da tali ricerche, sono state proposte ipotesi per spiegare il meccanismo d’azione dell’aspirina e il suo ruolo nel provocare AMD. L’attività inibitoria dell’aspirina sulla ciclossigenasi potrebbe esporre il tessuto retinico a carenza di ossigeno con conseguente neo-vascolarizzazione. Una seconda idea propone che l’aspirina alteri l’equilibrio dell’ossidazione lipidica, danneggiando il tessuto retinico. Tuttavia questi meccanismi sono ancora tutti da dimostrare.

Sebbene non sia possibile definire in modo certo la correlazione tra assunzione di aspirina e degenerazione maculare, di certo i più recenti studi sono serviti a stabilire che 5 anni di osservazione non sono sufficienti per ottenere differenze significative tra gruppi di persone trattate o meno con il farmaco.

“Sulla base dei dati non è possibile avanzare condanne per la terapia antiaggregante, di cui l’aspirina rimane uno dei cardini principali” dice Alfredo Pece, il presidente della fondazione Retina3000. “Occorre, invece, valutare le eventuali complicanze che tale farmaco può procurare a un paziente già affetto da AMD adeguando la terapia al singolo caso clinico”.

L’Italia è uno dei primi paesi in cui è stato introdotto un test genetico per predire un possibile futuro sviluppo di AMD. “La frontiera di questa ricerca” continua Pece “sarà quella di verificare se vi sia una correlazione tra certe varianti geniche e l’effetto indesiderato dell’aspirina”.

I test genetici fanno così intravedere la possibilità di un utilizzo sempre più sicuro dei farmaci e di terapie personalizzate.

Crediti immagine: Ragesoss, Wikimedia Commons

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Giulia Annovi
Mi occupo di scienza e innovazione, con un occhio speciale ai dati, al mondo della ricerca e all'uso dei social media in ambito accademico e sanitario. Sono interessata alla salute, all'ambiente e, nel mondo microscopico, alle proteine.