CRONACA

Eternit, oltre la scienza

bandieraCRONACA – È arrivata nel pomeriggio di ieri, lunedì 3 giugno, la sentenza d’appello del cosiddetto Processo Eternit, la causa intentata dai parenti delle vittime di patologie amianto-correlate contro i titolari dell’azienda Eternit. La corte d’appello ha rincarato la pena per Stephan Schmidheiny, già condannato a sedici anni di carcere in primo grado: al miliardario svizzero sono stati comminati diciotto anni di carcere per disastro ambientale doloso e omissione volontaria di cautele antinfortunistiche. Decaduti invece i capi d’imputazione per l’altro imputato, Jean Louis De Cartier De Marchienne, deceduto due settimane fa all’età di 91 anni.

«È una sentenza giusta, che arriva al termine di un processo giusto» ha dichiarato Raffaele Guariniello, procuratore di Torino e vero artefice di questo risultato.  Un lungo sospiro di sollievo è stato tirato a Casale Monferrato, sede del più grande stabilimento Eternit in Italia, dove aleggiava il timore che il giudizio di primo grado fosse ridimensionato. La corte presieduta dal giudice Alberto Oggè ha invece aumentato ulteriormente le pene, anche in termini pecuniari. Oltre trenta milioni di euro di risarcimento al comune di Casale Monferrato e venti milioni di euro per la Regione Piemonte. Centomila euro, poi, per ogni sindacato ammesso come parte civile, settantamila euro per il Wwf e Legambiente e trentamila euro per ciascuno dei familiari delle vittime. Una cifra che supera di gran lunga i cento milioni totali, dal momento che sono state 2889 le parti civili citate nella sentenza.

Fin qui la cronaca di una giornata attesa e concitata al tribunale di Torino. Ma l’analisi di questo evento va molto oltre i confini di Casale Monferrato e del Piemonte. Sono infatti cinque milioni e mezzo gli italiani che vivono in zone altamente inquinate e che corrono un rischio elevatissimo di contrarre malattie rare e mortali. Stabilimenti chimici e petrolchimici, discariche, miniere e inceneritori sono la causa principale dell’avvelenamento di quarantaquattro distinte zone d’Italia. Sono i cosiddetti SIN, siti di interesse nazionale, ovvero aree nelle quali è necessaria una complessa opera di bonifica per garantire la sicurezza delle persone che vi risiedono. Da Porto Marghera, sulla laguna di Venezia, al Sulcis-Iglesiente, vasta area nella zona sudoccidentale della Sardegna. Ma anche Cerro al Lambro, in provincia di Milano, Fonte di Mare, nelle Marche, e tutto l’Agro Aversano, in Campania. Luoghi in cui le malformazioni e le morti neonatali sono a livelli molto superiori rispetto alla media nazionale e le malattie cosiddette “rare” sono all’ordine del giorno per un vasto numero di famiglie. A Casale Monferrato, per esempio, il mesotelioma pleurico colpisce un uomo ogni 2000 abitanti e una donna ogni 3500 circa, mentre in luoghi non inquinati questa patologia si manifesta in un caso su 50mila abitanti. Tutti questi dati sono stati raccolti nel 2012 nel rapporto Sentieri, uno studio epidemiologico condotto dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della Salute. (una mappa che riassume tutti i dati del rapporto Sentieri è disponibile su datajournalism.it)

Nonostante la complessità del documento, però, l’elenco dei casi di inquinamento ambientale è molto più esteso e coinvolge a vario titolo tutta la penisola. Per questo, lo stesso Guariniello spinge da anni affinché venga costituita una Procura nazionale sui disastri del lavoro, che possa fare luce sui tanti casi di abuso perpetrati in Italia ai danni dei lavoratori. «Sono entusiasta per questa sentenza ma nello stesso tempo mi arrabbio pensando a quante tragedie sul lavoro sono state dimenticate dalla giustizia» ha sottolineato ancora Guariniello in un’intervista al quotidiano La Stampa «Perché a Torino e in altre città si fanno i processi sulla salute di lavoratori e cittadini mentre altrove non si sa nemmeno cosa siano questi processi. Non c’è la cultura, non c’è la specializzazione dei magistrati». Tra i fronti più caldi c’è ovviamente Taranto, dove la magistratura aveva posto i sigilli all’Ilva per gli alti livelli di inquinamento riscontrati intorno all’acciaieria negli ultimi anni.

Ma per quanto frastagliata, la situazione in Italia è decisamente migliore che all’estero. In Francia sono anni che un gruppo di magistrati prova a intentare una causa contro i vertici dell’Eternit, ma finora ogni tentativo è andato a vuoto. E la situazione è ancora peggiore in Russia e Cina, dove non solo è impossibile parlare di diritto alla salute, ma è addirittura considerato  legale l’uso dell’amianto. Stesso discorso si potrebbe fare a proposito del Brasile, dell’India, del Giappone e di gran parte degli stati africani, dove per profitto o per necessità questo materiale viene estratto e utilizzato soprattutto nel settore edile. In Italia, invece, il fibrocemento e i materiali contenenti amianto sono banditi dal 1992, ma date le loro caratteristiche le sottili fibre minerali continueranno a causare morti per i prossimi trenta o quarant’anni.

Crediti immagine: Claudio Dutto

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claudio dutto
Redattore di libri scolastici, appassionato di saggi scientifici e autore di podcast per diletto. Su twitter sono @claudio_dutto