AMBIENTECRONACA

Strategie di resistenza

Campo di cotoneAMBIENTE – Anche se in Italia l’introduzione degli OGM in campo aperto è ancora oggetto di dibattito politico  l’introduzione di piante OGM nell’ambiente risale a circa 20 anni fa e, come riportato nello speciale di Nature di alcuni mesi fa, in tutto il mondo ci sono circa 170 milioni di ettari coltivati (su un totale di 1,5 miliardi totali).

Il mese scorso un articolo pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology ha cercato di fare il punto della situazione analizzando i dati relativi allo sviluppo di forme d’insetti resistenti a un particolare tipo di piante OGM che sfrutta l’azione della proteina Bt. I risultati mostrano un’ampia variabilità tra le zone coltivate. Nei 77 casi analizzati, pur utilizzando gli stessi OGM e le stesse proteine Bt, si sono avuti risultati molto diversi per quanto riguarda l’insorgenza di insetti resistenti.

Di OGM si parla spesso in termini di sicurezza per l’ambiente e la salute, dimenticando che in molti casi le piante OGM sono state sviluppate per resistere ai parassiti e ridurre l’impiego di sostanze chimiche necessarie per proteggere le piantagioni. Per capire meglio l’impatto dello sviluppo della resistenza abbiamo chiesto a Mauro Mandrioli, professore presso il Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Modena e Reggio Emilia di commentare questi risultati.

Era prevedibile lo sviluppo di questa resistenza?

L’articolo di Nature Biotechnology è stato spesso citato per sostenere la tesi che gli OGM non funzionano, ma in realtà la ricerca di Tabashnik e colleghi non dice questo. La ricerca ha il merito di essere una delle analisi più complete mai pubblicate ed è il primo studio così ampio che valuta la resistenza agli OGM, facendo riferimento infatti a più di 70 pubblicazioni, considerando più di 13 specie di insetti diverse e 3 tossine Bt diverse. Una mole di dati incredibile ma quello della resistenza non è un risultato assolutamente inatteso, anzi. Quello che colpisce invece è che a distanza di 20 anni dalla prima introduzione degli OGM in natura, tutto sommato gli insetti resistenti siano ancora pochi.

Nell’articolo sono riportati 5 casi di popolazioni resistenti, 3 delle quali si trovano negli Stati Uniti. Il dato però va valutato in proporzione al numero totale di aree in cui vengono coltivati OGM e, negli Stati Uniti c’è una delle maggiori coltivazioni e sono stati tra i primi a passare a coltivazione su larga scala. Il bilancio oggi è ancora positivo.

La tossina Bt è utilizzata moltissimo anche in agricoltura biologica e quello che ci si aspettava non era di evitare la resistenza, ma di identificare le strategie migliori per ritardarne la diffusione.  Anche se è vero che gli OGM sono senz’altro una novità in natura ma, nel momento in cui vengono piantati in un campo entrano in gioco le regole dell’evoluzione. E l’evoluzione dice che tutte le volte che si cerca di eliminare un parassita, come nel caso degli insetti, i meccanismi di selezione portano l’insetto a evolversi sviluppando dei meccanismi di resistenza. Proprio come nel caso dei batteri e degli antibiotici.

Ma come funziona la proteina Bt?

Il Bacillus thuringiensis (Bt) è stato identificato all’inizio del ‘900 e già negli anni ’50 del secolo scorso veniva utilizzato sotto forma di tossina Bt perché era attivo prevalentemente contro lepidotteri, coleotteri e ditteri. La tossina viene prodotta come cristallo e spruzzata sulle piante. Una volta ingerita dall’insetto, viene attivata nell’intestino dove c’è un pH superiore a 9. La tossina viene quindi frammentata, diventa attiva e si lega a un recettore presente sulla cellule della parete dell’intestino degli insetti. L’effetto finale è che sulla membrana si creano dei pori, dei buchi, che portano la cellula a morire per shock osmotico. Perdendo le cellule dell’intestino, l’insetto non può più nutrirsi e muore in breve tempo.

È un meccanismo efficiente e non pericoloso per l’uomo, infatti anche se noi ingerissimo la tossina, questa non verrebbe attivata nel nostro intestino, dove c’è un pH acido e non basico come in quello degli insetti. Inoltre le nostre cellule non hanno il recettore di membrana bersaglio della tossina, quindi non potrebbero essere danneggiate dal suo legame.

Perché si è deciso di sviluppare piante OGM se il meccanismo di trattamento era già efficace e sicuro?

I cristalli di tossina Bt venivano spruzzati sulle piante, ma i cicli di trattamento dovevano essere continui perché venivano lavati via in caso di pioggia. Per questo motivo si è deciso di provare a sviluppare delle piante che potessero difendersi da sole.

Come ho detto però, la tossina deve essere attivata dall’intestino dell’insetto e poi interagisce con un recettore di membrana delle cellule dell’insetto. Se il recettore muta, la tossina non si può più legare e l’insetticida non ha più effetto. La strategia di resistenza è la stessa, sia per gli OGM sia per la somministrazione dei pesticidi, ed è un meccanismo messo in atto ogni volta che si introduce qualcosa in grado di fare selezione.

E quali sono i meccanismi che si possono mettere in atto per rallentare lo sviluppo di specie resistenti?

Quando sono stati introdotti gli OGM, ci si era posti il problema di cosa fare per evitare l’insorgenza della resistenza e, in particolare negli Stati Uniti, dove si trova la maggiore area coltivata a OGM. Una delle possibili strategie è definita “High dose/refuge”. Si tratta di coltivare piante OGM che producono alti livelli di proteina Bt e in contemporanea identificare delle aree di rifugio in cui piantare varietà convenzionali dello stesso tipo di pianta. In queste aree non ci sarà una pressione di selezione per gli insetti solo resistenti e potranno sopravvivere anche le forme sensibili. In questo modo ci saranno due popolazioni vicine: una resistente e una sensibile che si possono incrociare generando insetti che possono essere poi uccisi dalla varietà OGM. Facciamo l’esempio del mais. Con le piante OGM che producono la proteina Bt sopravvivono solo quelle specie omozigoti per l’allele della resistenza, quelle che hanno due copie del gene mutati per capirci. Gli eterozigoti invece hanno livelli troppo bassi di resistenza e quindi muoiono.

Un’altra strategia è di utilizzare piante che producono diverse tipologie di tossine Bt. Gli OGM di prima generazione producevano infatti solo una tipologia di tossina Bt, mentre quelli più recenti di nuova generazione ne producono due diverse. E questo è un enorme vantaggio.

Utilizzando le strategie dell’alta dose e del rifugio si pensava di aggirare il meccanismo della resistenza. Negli Stati Uniti dove effettivamente hanno fatto un uso abbastanza buono di questa strategia, le resistenze stanno comparendo, ma in modo più lento rispetto ad altre aree, come l’India, dove c’è stata meno attenzione, soprattutto all’ampiezza delle aree di rifugio.

Grazie ai dati raccolti è possibile fare delle previsioni riguardo allo sviluppo di resistenza?

Certo. Perché se sappiamo che funziona questo meccanismo di dosi elevate e aree di rifugio, e consideriamo che le mutazioni che sviluppano la resistenza siano tutto sommato poco frequenti, possiamo valutare parametri come l’area in cui si vogliono mettere gli OGM, la specie specifica di insetto, il numero di individui che hanno già una potenziale resistenza alla tossina Bt e in questo modo stabilire con che velocità si potrà sviluppare la resistenza a un OGM, in un’area in cui quell’OGM non è mai stato coltivato.

L’articolo presenta una situazione molto simile a quella dell’uso dei pesticidi quindi?

Per quanto riguarda il problema della resistenza, più si utilizza una stessa molecola, più è probabile che la resistenza si diffonda. Nel mondo ci sono circa 160 milioni di ettari coltivati con piante OGM, di cui quasi 70 con piante Bt, quindi ovviamente si incentiva lo sviluppo di forme resistenti. Se un qualsiasi pesticida messo in campo avesse avuto una risposta come quella misurata per OGM ci sarebbe da essere più che soddisfatti. Dobbiamo ricordate che per molte molecole abbiamo delle resistenze che si sono sviluppate in campo in tempi molto più brevi.

Per quanto riguarda gli OGM gli autori dello studio identificano 4 punti di intervento per rallentare lo sviluppo della resistenza. Il primo è la costituzione di aree di rifugio coltivate con specie convenzionali, mentre il secondo è l’utilizzo di tossine ingegnerizzate che possono legare in modo diverso il recettore per aggirare eventuali sviluppi di mutazioni. È di estrema importanza poi alternare le strategie, come ad esempio l’utilizzo di ridotte quantità di trattamenti chimici e la rotazione delle colture. Sospendendo temporaneamente la coltivazione di una determinata specie vegetale scompariranno anche le specie di insetti che si nutrono di questi vegetali. Quando iniziano a comparire le prime specie resistenti, sarebbe il caso di cercare di rallentare e ridurre il fenomeno, cambiando ad esempio la tossina impiegata. Grazie alla genetica di popolazione si possono prevedere le diffusioni delle resistenze. Negli Stati Uniti le prime resistenze si sono verificate dopo circa 15 anni, mentre ad esempio a Portorico il tempo di sviluppo di queste resistenze è stato di soli 3 anni e sarebbe interessante confrontare le strategie di utilizzo degli OGM in queste due diverse aree.

Crediti immagine: Kimberly Vardeman, Flickr

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