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L’eterna lotta tra falene e pipistrelli

Big-eared-townsend-fledermausRICERCA – Ogni notte, nell’oscurità delle foreste del Sudest asiatico, si gioca una battaglia aerea tra pipistrelli e falene. Una battaglia da cui non è possibile uscire sconfitto se non a costo della morte: i primi hanno solo poche ore per cacciare quante più falene possibile e non morire di fame, mentre le seconde nella lunga notte devono schivare i costanti attacchi dei voraci predatori di insetti. Falene e pipistrelli, la cui lotta per la vita va avanti da oltre 60 milioni di anni, sono uno stupendo esempio di coevoluzione preda-predatore.

Le dinamiche che si instaurano tra prede e predatori hanno da sempre affascinato i biologi di tutto il mondo e rappresentano uno dei migliori esempi di coevoluzione, il processo mediante cui due o più specie della stessa comunità ecologica interagiscono tra loro in maniera tanto stretta da costituire ciascuna una forte pressione selettiva per l’altra. In particolare, prede e predatori elaboreranno strategie e comportamenti sempre più sofisticati per riuscire a prevalere nella battaglia per la sopravvivenza, la cosiddetta corsa agli armamenti.

I pipistrelli sono noti per la loro capacità di emettere ultrasuoni e percepire gli echi di ritorno degli oggetti che le onde vanno a colpire. Questo fenomeno viene chiamato ecolocalizzazione ed è utilissimo per cacciare nell’oscurità. Le falene, da parte loro, hanno evoluto la capacità di percepire gli ultrasuoni ed eludere gli attacchi mediante vie di fuga acrobatiche, ad esempio con movimenti circolari o a spirale. Ma alcune falene della famiglia degli Sphingidae si sono spinte oltre e hanno sviluppato strategie ancora più complesse, che coinvolgono la produzione di suoni in risposta alle onde emesse dai pipistrelli.

Dalle pagine della rivista Biology Letters emerge che i maschi delle specie Cechenena lineosa, Theretra boisduvalii e Theretra nessus, comuni nelle foreste della Malesia, sono soliti replicare ai sonar dei predatori producendo a loro volta ultrasuoni, mediante lo sfregamento di alcune scaglie modificate localizzate sul loro apparato genitale (video). Queste strutture vengono normalmente utilizzate per limitare i movimenti delle femmine durante l’accoppiamento. I dati suggeriscono che anche le femmine sono in grado di produrre ultrasuoni, sempre mediate l’apparato genitale, anche se non è ancora chiaro il meccanismo.

Sebbene sembra evidente la funzione antipredatoria di tale comportamento, ancora speculativo è però il meccanismo che consente alle falene di depistare i pipistrelli: secondo gli autori, potrebbe essere un modo per spaventare i predatori, oppure metterli in al corrente delle loro armi difensive (tra cui difese chimiche o la presenza di spine), o ancora interferire con il loro biosonar.

Ora si attende la prossima mossa dei pipistrelli.

Crediti immagine: PD-USGov, Wikimedia Commons

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Andrea Romano
Biologo e giornalista scientifico, lavora come ecologo all'Università degli Studi di Milano, dove studia il comportamento animale. Scrive di animali, natura ed evoluzione anche su Le Scienze e Focus D&R. Dal 2008, è caporedattore di Pikaia - portale dell'evoluzione