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Sorprese dallo spazio: i lampi radio dall’Universo profondo

Parkes.arp.750pixNOTIZIE – Fast Radio Bursts (FRBs), questo il nome della nuova classe di fenomeni cosmici presentata da un vasto gruppo di ricercatori in un articolo su Science a inizio luglio. I FRBs sono lampi di onde radio brevissimi della durata di qualche millisecondo e rappresentano un nuovo tipo di eventi celesti.

Lo studio ha visto coinvolti anche quattro italiani dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Cagliari e dell’Università di Cagliari che hanno collaborato con un gruppo di astronomi provenienti da tre diversi continenti: Europa, Australia e America.

I ricercatori sono riusciti a registrare quattro lampi radio nell’arco degli ultimi quattro anni, confermando il primo avvistamento del fenomeno risalente a sei anni fa. Protagonista delle osservazioni è stato il radio telescopio del CSIRO Parkes Observatory in Australia, che con il suo diametro di 64 metri ha permesso di individuare i quattro FRBs.

I risultati della ricerca suggeriscono che i lampi radio di questo tipo non siano isolati, ma anzi che si ripetano all’interno della volta celeste con una frequenza di circa uno ogni dieci secondi. La loro individuazione è resa difficile dalla brevissima durata e dal fatto che si manifestano in zone diverse del cielo. Solo un’opportuna strategia di osservazione concentrata in una piccola porzione di cielo ha permesso di registrare quattro lampi radio, confermando l’esistenza del nuovo fenomeno. I Fast Radio Bursts sono stati individuati a una distanza di vari miliardi di anni luce (fino a un massimo di 8) e ciò ci permette di risalire all’epoca della loro origine: quando l’Universo aveva la metà circa dell’età attuale.

Resta da svelare l’origine dei FRBs e gli autori dell’articolo propongono alcune ipotesi. Un fenomeno simile può essere provocato solo da grandi quantità di energia e massa. Tra le possibilità considerate troviamo due tipi di oggetti celesti dalle caratteristiche estreme: le stelle di neutroni, dal fortissimo campo magnetico, e i buchi neri.

Crediti immagine: CSIRO, Wikipedia

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