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Inquinanti industriali nel cervello degli orsi polari: a rischio anche l’uomo

800px-Polar_Bear_-_AlaskaCRONACA – Sostanze tossiche di origine industriale sono state trovate in otto aree del cervello degli orsi polari di Scoresby Sound, nella Groenlandia orientale. Come spiega un nuovo studio pubblicato su Environmental Toxycology and Chemistry, il rischio non riguarda solamente la fauna selvatica, ma anche l’uomo.

Sono stati i ricercatori canadesi della Carleton University e quelli danesi della Aarhus University a lanciare l’allarme, dopo aver identificato tracce di Pfas, sostanze perfluoroalchiliche bioaccumulabili molto resistenti alla degradazione chimica, termica e biologica. La capacità di questi composti di attraversare la barriera emato-encefalica li rende un grande pericolo, e le conseguenze più allarmanti comprendono carcinogenesi, genotossicità, neurotossicità, immunotossicità, effetti epigenetici e sul sistema endocrino.

Gli accumuli che hanno preoccupato maggiormente i ricercatori sono quelli di perfluorottano sulfonato (Pfos) e degli acidi carbossilici perfluorinati (Pfcas), composti che negli ultimi decenni sono stati molto utilizzati nella produzione di rivestimenti idrorepellenti e oleorepellenti. Il fegato è il principale sito di accumulo di queste sostanze, e nel caso degli orsi polari le concentrazioni di Pfos sono state riscontrate in quantità 100 volte superiori a quelle delle loro prede abituali, le foche degli anelli. Queste sostanze vengono impiegate soprattutto nell’industria tessile e in quella della carta, come anche in prodotti farmaceutici, surfactanti, detergenti per le pulizie e schiume antincendio. Nei paesi occidentali le Pfas non sono più prodotte né utilizzate, ma dopo la messa al bando negli Stati Uniti la Cina ne ha incrementato di dieci volte la produzione. Le Pfas vengono infatti immesse sul mercato senza fornire alcun dato sulle quantità rilasciate nell’ambiente, e spesso non ne viene dichiarata la presenza sulle etichette.

Come ha spiegato Robert Letcher della Carleton University, purtroppo non è una novità che ci siano contaminanti liposolubili in grado di attraversare la barriera emato-encefalica, e composti dello stesso gruppo erano già stati trovati nel cervello di embrioni di pollo. Nel caso di Pfos e Pfcas, invece, si pensava le sostanze fossero strettamente associate alle proteine, e per questo motivo la diffusione nel caso degli orsi polari ha stupito i ricercatori.

Da un altro recente studio della Aarhus University, arriva tuttavia un dato incoraggiante: dal 2006 in poi c’è stato un progressivo calo delle concentrazioni di Pfos nella fauna selvatica della Groenlandia, sia nel caso degli orsi polari che in quello delle foche degli anelli. Altre popolazioni più vicine all’Europa e al Nord America avevano già in precedenza iniziato a mostrare una diminuzione, facendo ben sperare per il futuro. Le autorità dovrebbero prendere provvedimenti per interrompere la produzione di queste sostanze a livello globale, ma nel frattempo, come suggerito dai ricercatori, si può scegliere di acquistare quei prodotti che sull’etichetta vengono identificati come “environmentally-friendly”.

Crediti immagine: Alan Wilson, Wikimedia Commons

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".