SALUTE

Non tutte le felicità sono uguali

4582791776_078dc899e9_zSALUTE – Per quanto trovarci davanti a una tavola imbandita, all’ombra di una pergola in un pomeriggio estivo, possa renderci felici, i nostri geni non la vedono così. Da una ricerca condotta da Barbara Fredrickson, psicologa all’Università del North Carolina di Chapel Hill, Stati Uniti, emerge che non sempre la felicità ha risvolti positivi per la salute. Ci sono, anzi, felicità che fanno bene e altre che fanno male. Magari non ne saremo coscienti ma, al livello molecolare, il corpo umano riconosce le differenza tra i tipi diversi di felicità, e risponde in modi diversi, capaci di aiutare o ostacolare la salute fisica.

I ricercatori hanno scoperto che il senso di benessere derivante da azioni volte a uno ‘scopo nobile’ può apportare benefici alla salute cellulare, mentre una semplice ‘autogratificazione’ potrebbe avere effetti negativi, benché i soggetti percepiscano comunque un senso di felicità generale. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista PNAS.

“Da tempo, i filosofi distinguono essenzialmente due forme di benessere: una forma edonica che rappresenta le esperienze piacevoli di un individuo, e una forma più profonda, eudaimonica, che risulta dallo sforzo fatto per arrivare a un fine virtuoso, al di là del semplice soddisfacimento materiale”, spiegano Fredrickson e colleghi.

È la differenza tra il piacere derivato da un buon pranzo e, per esempio, il sentimento di connessione a una comunità all’interno di un progetto di volontariato. Entrambe le esperienze ci danno un senso di felicità, ma hanno un diverso effetto sulle cellule. “Se è vero che entrambe le forme di benessere sono di solito associate a miglioramenti nella salute fisica e mentale, è altrettanto vero che le informazioni in nostro possesso sulle basi biologiche di questi legami sono piuttosto scarse”, sostiene la psicologa.

In collaborazione con un gruppo dell’Università della California di Los Angeles, guidata dallo psichiatra Steven Cole, il team di Fredrickson ha esaminato l’influenza biologica del benessere edonico e di quello eudaimonico sul genoma umano. I due gruppi hanno analizzato i pattern di espressione genica nelle cellule immunitarie dell’uomo.

Studi precedenti di Cole avevano scoperto uno spostamento sistematico nell’espressione genica associata allo stress cronico: spostamento “caratterizzato da un aumento dell’espressione di geni coinvolti nei processi d’infiammazione” che si ritrovano in una grande varietà di malattie umane, inclusi infarti e artriti, e “una diminuzione dell’espressione dei geni coinvolti nella risposta antivirale”. Questa anomalia nell’espressione genica è un preliminare alla malattia, afferma Fredrickson.

Ora, se tutta la felicità si originasse nello stesso modo, i pattern di espressione genica dovrebbero essere gli stessi indipendentemente dal tipo di benessere. Ma così non è. Si è visto, infatti, che il benessere eudaimonico è associato a una diminuzione significativa del fenomeno evidenziato da Cole; al contrario, il benessere edonistico è associato a un suo aumento. Queste analisi genomiche, secondo gli autori, rivelano i lati oscuri del benessere puramente edonico. Aristotele, che criticò duramente l’idea di felicità intesa come semplice soddisfacimento di bisogni, ne sarebbe stato contento. Potremmo chiamarla gen-etica.

Inizialmente, Fredrickson ha trovato i risultati sorprendenti, poiché tutti i partecipanti allo studio avevano manifestato una sensazione di benessere generalizzata. In breve, al livello cosciente, tutti si dichiaravano contenti allo stesso modo; ma al livello molecolare le cose andavano diversamente. Una possibilità, suggerisce la psicologa, è che le persone che provano un benessere più edonico che eudaimonico consumino l’equivalente emotivo delle calorie vuote, cioè calorie con lo stesso contenuto energetico di ogni altra caloria, ma che mancano dei nutrienti che l’accompagnano, come vitamine, minerali o antiossidanti.

“Possiamo essere felici con piaceri semplici, ma queste ‘calorie vuote’ non ci aiutano ad ampliare la nostra coscienza né a costruire le nostre potenzialità in modi che ci rechino benefici fisici”, aggiunge Fredrickson. “Al livello cellulare, il nostro corpo sembra rispondere meglio a un tipo diverso di benessere, basato sul nostro senso di connessione al mondo e su valore che diamo ai nostro scopo.”

Crediti immagine: Signe Karin, Flickr

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