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Fukushima, è solo l’inizio

800px-Fukushima_I_by_Digital_Globe

CRONACA – Dopo due anni e mezzo, la vicenda di Fukushima Dai-ichi è tutto fuorché terminata. È arrivato infatti dalla Tepco (Tokyo Electric Power Company) l’ultimo allarme, che conferma un incidente di livello 3 dovuto alla fuoriuscita da un serbatoio di almeno 300  tonnellate d’acqua altamente radioattiva. Quanti anni serviranno a smantellare la centrale, in condizioni di “relativa sicurezza”? Secondo quanto si legge su numerosi giornali, quaranta. Eppure la realtà dei fatti potrebbe essere molto meno incoraggiante: abbiamo chiesto a Ezio Puppin (professore di fisica presso il Politecnico di Milano) di commentare le allarmanti novità.

Quanto è sotto controllo la situazione di Fukushima?

C’è assoluta impotenza, è questa la drammaticità della cosa: il problema rimarrà per millenni. Il Giappone è il paese più tecnologicamente avanzato del mondo, ma Fukushima è una centrale disastrata, ed è impossibile metterci mano. Nelle parti più rilevanti della centrale si muore dopo qualche secondo per i livelli di radioattività, e sarà così a lungo, nessun essere umano può entrare. Le macerie rimarranno lì per tutto il tempo che la natura richiede alla radioattività per spegnersi, e parliamo di periodi geologici. Bisognerebbe convocare l’assemblea dell’ONU, e far prendere all’intero consesso planetario una decisione a riguardo.

E la nuova perdita d’acqua radioattiva segnalata dalla Tepco?

Ogni giorno vengono utilizzate 400 tonnellate di acqua per raffreddare i reattori, acqua che viene immessa nella centrale, recuperata, e ri-pompata dagli scantinati all’interno di serbatoi intorno alla centrale. Finora ne hanno costruiti 350, e ognuno ha capacità di 1000 tonnellate. Questo si traduce in 350.000 tonnellate d’acqua radioattiva accumulata in due anni. Ma i serbatoi si danneggiano, e per stessa dichiarazione della Tepco, il loro contenuto finisce nel Pacifico: anche il serbatoio che perde ora non potrà essere riparato se non dopo una decontaminazione. Ogni anno, continuando così, potrebbero servire circa 200 nuovi serbatoi, e tra 50 anni dovranno averne costruiti almeno 10000.

Il governo giapponese ha proposto di “ibernare” l’area

C’era il progetto di congelare il terreno, o di continuare a immettervi agenti chimici per indurirlo e fermare l’acqua radioattiva, ma nessuna di queste cose è veramente fattibile. Per di più, la tecnologia richiesta per filtrare l’acqua sulla scala che serve a Fukushima per ora non esiste. Avevano costruito un impianto per separare la parte radioattiva, ma  non ha funzionato. È rimasto malamente in attività per un po’, poi l’argomento è caduto nel più totale silenzio. Tra le improbabili idee che ho sentito, si parlava anche del fatto che il Giappone volesse costruire dei robot che entrassero nella centrale, a svolgere il lavoro che gli esseri umani non possono fare. Può funzionare? Nei cartoni si, nella realtà no: forse tra duecento anni.

Qual è la gravità della situazione, rispetto a Chernobyl?

Per Chernobyl si trattava di una tecnologia differente, non di un reattore moderato ad acqua (1). C’è stato un incendio, e ovviamente ne è stata utilizzata per spegnerlo, ma ora non è più necessario farlo per evitare il surriscaldamento. La nube radioattiva in quel caso si è diffusa nell’atmosfera, e noi ora scopriamo che i cinghiali in Piemonte hanno livelli di cesio anormali. Ma la maggior parte delle radiazioni è ancora là, e a differenza di Fukushima non si sposteranno. Fukushima è diversa anche perché si parla di quattro reattori e non uno, gravemente danneggiati, e di migliaia di tonnellate di materiale radioattivo che vanno continuamente raffreddate. Per di più l’acqua salata che viene usata a questo scopo è corrosiva, e andando avanti così per centinaia di anni a un certo punto si sarà “mangiata” gran parte della centrale, diffondendo radiazioni con effetti molto peggiori rispetto a Chernobyl.

Gli Stati Uniti, tuttavia, sembrano voler minimizzare le possibili conseguenze

Questo perché le centrali e la tecnologia sono le loro, Fukushima è stata costruita dalla General Electric, e negli USA ci sono diverse centrali simili. Ma i problemi raggiungeranno presto anche loro, perché l’acqua contaminata arriverà dall’altro lato dell’oceano, e già sono stati fatti diversi studi climatologici a riguardo. Se una frazione significativa del materiale radioattivo della centrale finisse in mare e si diluisse completamente non si potrebbe più fare il bagno in nessuna parte del mondo. Quello che succede in realtà, sul lungo periodo, è che il materiale immesso in un certo punto viene portato dalle correnti su altre coste, dove si concentra. Negli Stati Uniti, ovviamente, si chiedono dove arriveranno queste correnti. Credo che nell’arco dei prossimi anni sentiremo uno stillicidio di notizie sempre peggiori, e non ci saranno parti del mondo completamente esenti dalle conseguenze.

L’attuale premier ha vinto le elezioni anche grazie alla promessa di rilancio economico, e di riattivare le centrali. Gli abitanti però non sembrano d’accordo

Con l’acqua radioattiva che finisce nel Pacifico, è solo questione di tempo, e non vi si potrà più pescare. Questo si aggiunge ai lavoratori che si ammalano e muoiono, e alle decine di casi di tumore alla tiroide nei bambini della prefettura di Fukushima. Purtroppo, anche se non conosco i numeri esatti, è ampiamente fuori da ogni dubbio che i tumori siano dovuti alla radioattività. Ora che con l’acqua contaminata gli effetti cominceranno a farsi sentire anche in altre parti del mondo, voglio proprio vedere se riaccenderanno le centrali.

(1) (1) Modificato il 03.09.2013 per correggere un nostro errore, ringraziamo D. Passerini della segnalazione. N.d.R.

Crediti immagine: Digital Globe, Wikimedia Commons

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".