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Premio Nobel per la chimica ai modelli molecolari

medicinaSPECIALE OTTOBRE – Hanno portato “gli esperimenti chimici nel cyberspazio”: li hanno presentati così alla cerimonia di proclamazione dei Nobel per la Chimica 2013, che si è tenuta ieri a Stoccolma. Sono Martin Karplus, professore all’Université de Strasbourg e alla Harvard University, Michael Levitt della Stanford University e Arieh Warshel, della University of Southern California, a Los Angeles, i vincitori del titolo. Va a loro il merito di aver portato l’osservazione delle molecole e delle loro interazioni dalle provette dei laboratori allo schermo dei computer, attraverso lo sviluppo del modeling molecolare e della chimica computazionale: un approccio che non solo ha fornito i mezzi per la comprensione della struttura e delle funzioni di molte proteine, ma che ha completamente rivoluzionato i processi sperimentali per la ricerca di nuovi farmaci e materiali.

“La magia di questi tre uomini è di aver tradotto in termini fisici e matematici le regole del mondo molecolare e aver concesso a noi di poter simulare il comportamento di strutture anche molto importanti” ha spiegato a OggiScienza il professor Stefano Moro, membro della Molecular Modeling Section dell’Università degli Studi di Padova. In pratica, l’aver portato oggetti e meccanismi (come per esempio quelli che regolano le funzioni del nostro organismo) dentro al mondo virtuale, quello dell’informatica, con aspettative molto rigorose. Una su tutte: quella di chiedere al mondo virtuale di riprodurre nella maniera più accurata e fedele possibile quello che sperimentiamo a livello molecolare nel mondo reale.

“La forza del loro lavoro è anche quella di averci fatto vedere come potrebbero essere organizzate queste strutture” spiega Moro, “di aver dato una vera e propria sensorialità al mondo molecolare che altrimenti, soprattutto dal punto di vista chimico, sarebbe rimasta davvero difficile da immaginare”. Ma non solo. Il contributo di Karplus, Levitt e Warshel si spinge ben oltre la rappresentazione statica delle molecole: le mette in moto, inserendo la variabile temporale, per cercare di predirne anche il comportamento, avviando così anche le prime ricerche nel campo della dinamica molecolare.

La motivazione del Nobel recita: “Per lo sviluppo di modelli multiscala per sistemi chimici complessi”. Il significato lo abbiamo chiesto proprio al professor Moro, che da esperto nel settore ci ha spiegato che il termine multiscala si riferisce alla possibilità di estendere i modelli dagli oggetti piccolissimi, che possono sfuggire ai nostri sensi (come succede per esempio con le proteine), a quelli macroscopici, che siamo invece in grado di percepire. Come se fossero dotati di un vero e proprio zoom, i software per elaborare questi modelli consentono di acquisire informazioni dagli aggregati di atomi a livello microscopico e inserirle poi nell’indagine dei sistemi macroscopici. Un esempio: capire dove risiede e come funziona il sito attivo di un enzima può fornire la soluzione a un intera cascata di eventi a livello cellulare, chiarendone il ruolo in un più ampio quadro biologico. “Che si parli poi di una singola proteina o di un insieme di proteine, si tratta sempre di sistemi la cui complessità è intrinseca e risiede nell’altissimo numero delle componenti”, continua Moro. A seconda che si tratti quindi di una singola proteina o di un gruppo di proteine, i termini coinvolti possono coinvolgere centinaia di migliaia di atomi (nel caso della proteina) come multipli di essi (nel caso del gruppo), ma anche sovrastrutture spaventosamente più grandi, formate da un numero via via maggiore di componenti. A qualsiasi livello li si guardi, tutti questi oggetti di studio sono incredibilmente elaborati: da qui, la definizione di sistemi chimici complessi.

Il principale campo di battaglia di Karplus, Levitt e Warshel è sempre stato quello biologico. Affascinati dalle proteine e in particolare dalle potenzialità degli enzimi, le molecole che catalizzano e regolano quasi tutti i processi negli organismi viventi, si sono spesi insieme per diversi anni nel tentativo di modellizzare il loro comportamento. Riuscendoci, e pubblicando nel 1976 i risultati del primo modello di reazioni enzimatiche costruito al computer.

A partire da questi primi e pionieristici studi di modeling, l’approccio computazionale allo studio della chimica è diventato un alleato sempre più presente e fidato in tutti gli altri settori della disciplina, a partire dalla ricerca di base fino a quella applicata. Infatti, se da un lato poter simulare al computer gli oggetti che costituiscono la realtà serve a farci capire, dal punto di vista prettamente conoscitivo, come le cose funzionino, dall’altra ci permette di sfruttare queste conoscenze per progettare nuove realtà. Dal design di farmaci con una mira sempre più precisa verso i bersagli terapeutici alla formulazione e lo sviluppo di nuovi materiali con caratteristiche studiate a tavolino, le implicazioni degli studi dei tre ricercatori permeano di sconfinate prospettive di applicazione nel settore della medicina così come delle tecnologie d’avanguardia per l’elettronica, le comunicazioni e l’energetica.

La stretta collaborazione tra Karplus, Levitt e Warshel ha fruttato inoltre anche alla chimica teorica una formidabile intuizione per lo studio dei sistemi molecolari: nel tentativo di creare un punto di contatto tra le leggi della fisica classica (quella newtoniana) e la meccanica quantistica, i tre hanno spalancato le porte alla possibilità di studiare sin nel dettaglio quantistico sistemi complessi come, appunto, quelli molecolari.

In un’epoca che dal punto di vista tecnologico possiamo definire paleo-informatica, a fianco di computer lentissimi e spaventosamente ingombranti, c’è stato quindi qualcuno che ha saputo ragionare in grande, guardare oltre e lanciare la sfida a quello che inizialmente sembrava niente di più che un miraggio. I processori all’epoca erano lentissimi, con velocità di calcolo che per noi risultano inimmaginabili poiché di svariati ordini di grandezza inferiori rispetto anche solo ai nostri smartphone o ai portatili. E che, come ci racconta il professor Moro, necessitavano di una programmazione molto più complicata rispetto ad oggi, con codici estremamente vicini al linguaggio-macchina. “Diversamente da quello che avviene oggi, Karplus, Levitt e Warshel si ritrovavano a scontrarsi ogni giorno col limite tecnologico” spiega Moro. Proprio per questo, il Nobel 2013 per la Chimica celebra non solo una rivoluzione nel modo di affrontare le scienze chimiche, ma anche un momento dove il potere della mente ha superato la tecnologia, dimostrando che l’infrastruttura cerebrale poteva di gran lunga superare quella informatica.

Crediti immagine: Wikimedia Commons, Harvard University

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