CULTURA

Quartetti di quark

774px-Standard_Model_of_Elementary_Particles.svgCULTURA – Dodici tipi di mattoncini, sei quark e sei anti-quark, sono i costituenti fondamentali di un’intera classe di microscopiche particelle, gli adroni. E la natura li combina rispettando regole di costruzione ben precise, legando i quark (chiamati up, down, charm, strange, bottom e top) e le corrspondenti antiparticelle solo a gruppi di due o di tre. Almeno così si credeva prima che, lo scorso aprile, due esperimenti indipendenti installati in Cina e in Giappone trovassero le tracce di un esotico adrone a quattro quark, subito battezzato Zc(3900).

Ora però lo zoo delle particelle è pronto ad accogliere non solo un nuovo esemplare, ma un’intera famiglia di ‘oggetti’ a quattro quark. Le ultime collisioni effettuate dall’esperimento BES III di Pechino ne hanno identificati almeno tre, ma ce ne potrebbero essere molti altri.

Ne abbiamo parlato per OggiScienza con Rinaldo Baldini Ferroli, professore associato e direttore di ricerca presso i laboratori di Frascati dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), e attuale responsabile delle relazioni tra l’INFN e l’equivalente cinese, l’IHEP (Istituto per la Fisica delle Alte Energie). Proprio in quest’ultimo istituto è installato l’acceleratore BEPCII, che porta elettroni e positroni a velocità prossime a quelle della luce, poi li fa collidere dando origine alle cascate di particelle analizzate da BES III.

“Dopo la pubblicazione della scoperta di Zc(3900), abbiamo continuato a cercare altre particelle appartenenti a questa nuova forma di materia. Quello che l’esperimento ci fornisce è un insieme di grafici in cui possiamo identificare dei picchi ben marcati, chiamati risonanze, che poi associamo alle particelle. All’inizio il sospetto era che si trattasse semplicemente di fluttuazioni statistiche, ma ora che abbiamo raccolto più dati ci stiamo convincendo che queste particelle esistano davvero”. Un po’ come è accaduto con il bosone di Higgs, anche se in questo caso si lavora a energie molto più basse rispetto all’LHC del CERN, in un intervallo energetico in cui l’esperimento BES III è l’unico al mondo a operare, dopo la chiusura dell’acceleratore di Cornell negli Stati Uniti.

Ma vediamo un po’ più da vicino come è composta questa famiglia, tutta ottenuta dal decadimento di una strana particella chiamata Y(4260). Anche se non sappiamo ancora con certezza quali quark si uniscano a gruppi di quattro, i ricercatori hanno scoperto che la prima particella individuata, Zc(3900), si rompe in due particelle più piccole, e più precisamente in due mesoni (ciascuno dei quali è formato da due quark). Le proprietà dei mesoni osservati hanno portato gli scienziati a supporre che Zc(3900) sia formata da almeno quattro quark, che potrebbero essere un charm, un anti-charm, un up e un anti-down. E dovrebbero avere una struttura abbastanza simile anche le altre due particelle sorelle, Zc(4020) e X(3872), nonostante quest’ultima sia l’unica elettricamente neutra.

Tuttavia esiste anche un’altra possibile spiegazione dei risultati ottenuti. “Non è ancora esclusa la possibilità che si tratti di una ‘molecola’ di due mesoni legati fra loro piuttosto che di un unico oggetto a quattro quark – spiega Rinaldo Baldini -, anche perché la differenza tra la struttura ipotizzata per Zc(3900) e quella di una ‘molecola’ formata da due coppie di quark legate è difficile da discriminare sperimentalmente”.

Le anomalie negli esperimenti, tuttavia, sono già note da tempo: allora come mai solo quest’anno è stata avanzata l’ipotesi dell’esistenza di oggetti a quattro? “L’idea che possano esistere particelle con quattro quark non è nuova – in proposito esiste anche una teoria tutta italiana, formulata da Luciano Maiani -, ma finora erano stati cercati dei composti formati solo da quark leggeri, come up, down e strange. Includendo anche i quark più massivi, accessibili solo recentemente, la situazione è diversa e le particelle sono più facilmente identificabili.”

Le particelle individuate sono infatti molto pesanti, come indica il numero riportato tra parentesi, che rappresenta la loro massa espressa in mega-elettronvolt divisi per la velocità della luce al quadrato, una particolare unità di misura utilizzata in fisica delle alte energie. Per avere un confronto, in questa scala un protone (formato da tre quark, due up e un down) ha una massa di 938, appena un quarto delle nuove particelle individuate.

Con queste ricerche, i fisici delle alte energie tenteranno nei prossimi anni di identificare altre particelle analoghe, oggi non più osservabili in natura ma presenti nelle prime fasi di vita dell’universo. “Nei prossimi dieci anni – continua Baldini – potremo arrivare ad avere un quadro completo di questa nuova forma di materia, e a un costo limitato”. E alla domanda sul perché questi studi abbiano sede solo in Asia ci ha risposto : “Varrebbe di certo la pena di avere un acceleratore analogo a BEPCII anche in Europa. Il costo sarebbe contenuto e, siccome l’acceleratore di Pechino è già vecchio, ne potremmo costruire uno cento volte più efficiente.  Soprattutto perché le nostre idee, sviluppate nei laboratori di Frascati, al momento sono integralmente copiate e giustamente sfruttate dai giapponesi”.

Crediti immagine: MissMJ, Wikimedia Commons

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Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance. Sui social sono @undotti