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E l’uomo incontrò gli animali

400px-CH_cow_2RICERCA – Nel corso della storia evolutiva della nostra specie, una delle conquiste fondamentali è stata senza dubbio la domesticazione degli animali. L’utilizzo di specie addomesticate ha infatti rappresentato per l’uomo la possibilità, non solo di avere sempre a disposizione cibo di diverso tipo e materiale per poter fabbricare utensili e vestiti, ma, insieme alla coltivazione delle piante, ha anche posto le basi per la sedentarietà, con enormi conseguenze sulla struttura delle società, fino a quel momento costituite da cacciatori-raccoglitori nomadi.

Fino a pochi anni fa, le informazioni a disposizione della comunità scientifica riguardo a questo cruciale passaggio per l’umanità erano esclusivamente basate su indagini di carattere morfometrico e anatomico condotte sui ritrovamenti fossili, oppure sul confronto di sequenze geniche di lunghezza limitata. Nell’ultima decade, però, con il prepotente sviluppo delle tecniche di biologia molecolare, via via più rapide ed economiche, e con il miglioramento delle procedure di estrazione di DNA da campioni antichi, è stato possibile condurre analisi sempre più approfondite. In particolare, i progressi tecnologici hanno consentito sia di utilizzare grandi porzioni di DNA nucleare e mitocondriale (o perfino interi genomi) sia di includere nelle analisi campioni di individui molto ampi, fornendo dettagliate informazioni sull’origine delle pratiche di addomesticamento ed allevamento di numerose specie animali.

Dall’inizio del 2012 ad oggi, per esempio, si sono avvicendati svariati studi che hanno decifrato i processi di selezione artificiale condotti sulle specie domestiche e ne hanno individuato le radici sia temporali che geografiche. Rispetto agli studi basati su tecniche meno sofisticate le sorprese non mancano.

Il più recente di questa lista in continua espansione, pubblicato su Science, riguarda il migliore amico dell’uomo: grazie all’analisi di 18 genomi mitocondriali di cani preistorici, provenienti da Eurasia e America, e al loro confronto con 49 genomi di lupi, 77 di cani e 4 di coyote attuali, un gruppo internazionale di biologi ha determinato l’origine dell’addomesticamento del cane. Il progenitore selvatico di questa specie, ovvero il lupo (Canis lupus), avrebbe iniziato a convivere con l’uomo tra 18.800 e 32.100 anni fa in Europa, e non, come come si riteneva finora in base a studi su campioni molto più limitati, in Cina o Medio Oriente. La convivenza tra uomo e cane iniziò quando le popolazioni umane erano prevalentemente raccoglitori e cacciatori di megafauna, quindi molto prima dell’introduzione dell’agricoltura, conquista umana che, a sua volta, provocò profondi effetti anche sulla fisiologia e il metabolismo della specie domestica (es. adattamento alla digestione dell’amido; Nature 2013).

È invece in concomitanza dell’origine delle prime pratiche agricole, databili intorno a 10.000 anni fa, che la nostra specie iniziò a selezionare a proprio vantaggio le popolazioni selvatiche dei grandi ungulati, quali la mucca, il maiale e la pecora, mentre quella del cavallo è ancora successiva. Spesso i primi eventi di domesticazione avvennero nella medesima regione, ma in alcuni casi si sono verificati episodi in luoghi differenti, ma approssimativamente nello stesso periodo. Quest’ultimo è il caso della mucca, discendente dall’uro selvatico (Bos primigenius), che fu addomesticata circa 10-11.000 anni fa in tre aree ben distinte: recentissime analisi molecolari e morfologiche, pubblicate su Nature Communications, hanno infatti dimostrato che, oltre al Medio Oriente e all’India Occidentale, note da tempo essere la culla dell’allevamento bovino, anche nel nord della Cina avvenne un evento indipendente, ma coevo, di domesticazione di questa specie. Inoltre, le avanzate tecniche genetiche permettono anche di ricostruire il cammino delle specie domestiche al seguito dell’uomo: e così, come mostrato da un studio su PNAS all’inizio di quest’anno, oggi sappiamo che i bovini che vivono nel continente americano hanno un’origine mista tra le popolazioni indiane e, soprattutto, quelle europee-mediorientali.

Più o meno contemporaneamente a quello della mucca, si verificò l’addomesticamento dei cinghiali selvatici (Sus scrofa) a dar vita al maiale domestico. Questa volta però, come suggerito dal recente sequenziamento dell’intero genoma di questa specie, pubblicato su Nature, l’origine sembra essere unica e localizzata nell’Asia Sudorientale. Tuttavia, la successiva diffusione nell’intera Eurasia fu molto rapida, tanto che le popolazioni dell’Europa centrale vivevano a stretto contatto con questa specie già circa 5.500 anni fa (studio su Nature Communication).

Storia simile a quella del maiale riguarda la pecora: anche il suo addomesticamento risale infatti ad un periodo di circa 9-11.000 anni or sono in un un’unica regione, quella della Mesopotamia e dell’Anatolia orientale a partire da popolazioni di muflone (Ovis orientalis), il suo antenato selvatico. Sebbene gli studi più recenti non abbiano più di tanto modificato le nostre conoscenze sull’origine spaziale e temporale di questa specie domestica, oggi sappiamo invece che probabilmente la popolazione da cui iniziarono i processi di selezione artificiale era molto ampia (oppure che diverse specie abbiano contribuito al pool genico iniziale). Infatti, come suggerito da un recente studio genetico pubblicato su PLoS Biology, la pecora mantiene ancora un’elevatissima diversità genetica, a differenza delle altre specie addomesticate.

L’ultimo caso è quello del cavallo, la cui domesticazione è più recente, in quanto avvenne nella regione occidentale delle steppe eurasiatiche circa 3.500-4.000 anni fa. Secondo un recente studio su PNAS, lo scenario più probabile fu quello di una ripetuta introgressione di materiale genetico di individui della specie selvatica, Equus ferus, all’interno di linee domestiche. Questa possibilità è stata confermata nei mesi scorsi dai risultati del sequenziamento del genoma più antico finora mai realizzato, appartenuto proprio ad un cavallo mummificatosi circa 700.000 anni fa. La ricerca, pubblicata su Nature, ha anche dimostrato come il cavallo di Przewalski (E. f. przewalskii) possa essere considerato a tutti gli effetti come “l’ultima popolazione di cavallo selvatica” ancora esistente.

In tempi, luoghi e modi diversi, l’uomo incontrò gli animali e li modificò geneticamente in funzione delle proprie esigenze. Oggi, migliaia di anni dopo, riusciamo a ricostruirne la storia in maniera sempre più approfondita, andando ad indagare proprio quei geni. Sappiamo però già che il futuro, con le nuove tecnologie che verranno sviluppate, ci regalerà ulteriori sorprese e colpi di scena su questo e tanti altri aspetti dell’evoluzione umana. Questa è la scienza.

Crediti immagine: Daniel Schwen, Wikimedia Commons

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Andrea Romano
Biologo e giornalista scientifico, lavora come ecologo all'Università degli Studi di Milano, dove studia il comportamento animale. Scrive di animali, natura ed evoluzione anche su Le Scienze e Focus D&R. Dal 2008, è caporedattore di Pikaia - portale dell'evoluzione