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Screening mammografico: perché è sì

Mobile_mammography_busSPECIALE DICEMBRE – Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale dello Screening nel 2012, negli ultimi 10 anni l’estensione effettiva dello screening mammografico contro il cancro al seno in Italia è passata dal 41% del 2003 al 74% del 2011, con punte del 92% nell’Italia settentrionale. Ma quali sono oggi i numeri dello screening, quali le metodologie utilizzate nel nostro paese e quali gli eventuali limiti di questo approccio preventivo? Per rispondere a queste domande è opportuno affrontare la questione da due diverse prospettive: quella radiologica e quella oncologica, entrambe coinvolte, seppur in fasi diverse, all’interno dei percorsi di diagnosi e cura del tumore alla mammella. Abbiamo dunque parlato del ruolo dello screening mammografico con la dottoressa Diana Crivellari, Direttore dell’Oncologia Medica C presso il Centro di Riferimento Oncologico (CRO) di Aviano e con la dottoressa Bianca Maria Masinielli, radiologa che si occupa di screening mammografico presso l’ospedale di Belluno.

Quel divario tra nord e sud

Lo screening mammografico in Italia è iniziato a partire dai primi anni ’90 in Piemonte e Toscana per un totale di un 5% di donne coinvolte, che sono diventate il 15% della popolazione nella seconda metà dello stesso decennio. Negli stessi anni si è costituito il Gruppo Italiano per lo Screening Mammografico (GISMa) che raccoglie anno dopo anno i dati relativi a questi screening. A partire dal 2007 tutte le regioni italiane hanno attivato dei programmi di screening mammografico, ma purtroppo la situazione non è affatto omogenea in tutto il paese e il divario tra nord e sud si fa ancora prepotentemente sentire. Come si legge sempre nello studio dell’Osservatorio Nazionale dello Screening, nel 2011 l’estensione effettiva dello screening mammografico al nord rappresenta il 92% delle donne tra i 50 e i 69 anni che ricevono l’invito, mentre al sud la percentuale è del 45%, cioè meno della metà, contro un’estensione teorica quasi del 100% in tutta la penisola. Ciò sta a significare che sebbene i programmi di screening regionali coprano quasi tutto il territorio nazionale, al sud meno della metà delle donne coinvolte nello screening si reca effettivamente al controllo. Il divario tra nord e sud rimane quindi ancora evidente, anche se le regioni meridionali negli ultimi 10 anni hanno fatto passi da gigante per adeguarsi agli standard nazionali, incrementando le zone in cui erano previsti programmi di screening mammografico dal 30% nel 2003 al 92% di oggi.

Lo screening funziona, se lo si fa 

Le ragioni di queste differenze di adesione da parte dei pazienti delle diverse regioni italiane non sono semplici da identificare, ma non sembrano certo  dipendere dall’efficacia di questa misura preventiva. I risultati dei programmi di prevenzione rendono lo screening mammografico oggi tutt’altro che una pratica irrilevante ai fini diagnostici, come dimostrano i “Progetti Impatto”, finanziati dal Ministero-Centro Nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm), che monitorano i registri tumori nelle varie regioni italiane e che forniscono una documentazione quantitativa precisa dell’efficacia del sistema sanitario nazionale nell’ambito della prevenzione. Come sottolinea la dott.ssa Masinielli, in vent’anni si è assistito a una riduzione della mortalità per tumore alla mammella fino al 45% grazie ai programmi di screening, mentre il restante 55% sembrerebbe invece dipendere dagli effetti delle terapie adiuvanti (chemioterapia e ormonoterapia). Lo scenario che si presenta oggi dunque è che su 1000 donne sottoposte a screening biennale nella fascia di età 50-69 e controllate sino ai 79 anni, si stima che lo screening consenta di salvare tra le 7 e le 9 vite, che sia responsabile di 4 casi di sovra diagnosi, di 170 casi di approfondimenti di tipo non invasivo e di 30 casi di approfondimenti di tipo invasivo che poi si risolvono in una diagnosi negativa.

Meno casi di forme avanzate 

Anche dal punto di vista del trattamento oncologico, cioè la fase post-operatoria che analizza il tumore una volta che è stato asportato, lo screening mammografico gioca un ruolo determinante. Come ci spiega la dott.ssa Crivellari, grazie allo screening siamo in grado di individuare e agire sui tumori in una fase molto più precoce. Intervenire preventivamente su donne asintomatiche  fa sì che si riescano a localizzare tumori anche di diametro inferiore al centimetro con minor necessità di chirurgie aggressive e soprattutto con minor uso di chemioterapie. Sono inoltre diminuite le forme di tumore localmente molto avanzate, cioè quelle indicativamente oltre i 3 centimetri di diametro che necessitano più spesso trattamenti aggressivi. Il problema a questo punto – prosegue la dott.ssa Crivellari – è la diagnosi di forme tumorali “a molto buona prognosi”, quelle cioè ancora in una fase iniziale, che probabilmente non diventerebbero mai gravi e invalidanti per il paziente, e che dunque senza lo screening passerebbero assolutamente inosservate.

Screening si, screening no

“Per una donna vale la pena sottoporsi allo screening mammografico poiché riduce il rischio di morire per cancro del seno e ha costi accettabili in termini di sovra diagnosi e falsi positivi.” Questo in sintesi il messaggio proveniente da una raccolta di studi sui benefici, i rischi e l’organizzazione degli screening per il cancro del seno in Europa, pubblicati dal Journal of Medical Screening per dare una risposta a un decennio di polemiche sull’efficacia dello screening mammografico come prevenzione efficace del cancro al seno. All’inizio degli anni 2000 infatti, uno studio pubblicato da Peter Gøtzsche con la collaborazione di The Cochrane Library, apriva il dibattito sull’effettiva efficacia dello screening mammografico per l’individuazione di tumori alla mammella, sostenendo la tesi di una mancata scientificità degli argomenti e dei dati che giustificavano lo screening mammografico e suggerendo la necessità di una maggiore informazione tra la popolazione femminile sui benefici e sui rischi di questa misura preventiva. Tuttavia, ad oggi  in Italia questa corrente critica – afferma la Masinielli – non ha praticamente più seguito nel mondo scientifico, e in tutta Europa i programmi di screening continuano a essere potenziati e aggiornati, soprattutto grazie ai numerosi studi come quelli già citati, che continuano a confermare anno dopo anno la validità di un programma di prevenzione come lo screening mammografico nella lotta contro il cancro.

Crediti immagine: National Cancer Institute, Wikimedia Commons

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.